Ai fini Iva per le lavorazioni intracomunitarie conta la destinazione dei beni lavorati
di Marco Peirolo
Nell’ambito delle lavorazioni intracomunitarie di beni può accadere che l’ordine di vendita sia anteriore o successivo al trasferimento dei beni nel Paese del terzista.
Ipotizziamo che un’impresa francese incarichi il terzista italiano di lavorare i beni inviati in Italia dalla Francia.
Stando al tenore letterale dell’art.38, comma 5, lett. a), del D.L. n. 331/1993, non dà luogo ad un acquisto intracomunitario, soggetto a IVA in Italia, “l’introduzione nel territorio dello Stato di beni oggetto di perizie o di operazioni di perfezionamento o di manipolazioni usuali (…), se i beni sono successivamente trasportati o spediti al committente, soggetto passivo d’imposta, nello Stato membro di provenienza o per suo conto in altro Stato membro ovvero fuori del territorio della Comunità”.
La norma in esame deve essere interpretata alla luce del corrispondente art. 17, par. 2, lett. f), della Direttiva n. 2006/112/CE, secondo cui il trasferimento a destinazione dell’Italia non configura un acquisto intracomunitario alla condizione che “il bene, al termine della perizia o dei lavori, sia rispedito al soggetto passivo nello Stato membro a partire dal quale era stato inizialmente spedito o trasportato”.
La sentenza resa dalla Corte di Giustizia nelle cause riunite C-606/12 e C-607/12 del 6 marzo 2014 ha, infatti, messo in luce l’illegittimità della disposizione interna, oltre che di quella – speculare – contenuta nell’art. 41, comma 3, del D.L. n. 331/1993, che esclude la configurabilità di una cessione intracomunitaria in caso di invio di beni “in altro Stato membro, oggetto di perizie o delle operazioni di perfezionamento o di manipolazioni usuali indicate nell’art. 38, comma 5, lettera a) (…)”.
In pratica, affinché il trasferimento dei beni dalla Francia all’Italia non si qualifichi come cessione intracomunitaria in Francia e come acquisto intracomunitario in Italia è richiesto che i suddetti beni restino temporaneamente nel nostro Paese siccome destinati ad essere rispediti, successivamente alla lavorazione, in Francia; in caso contrario, si realizza un trasferimento intracomunitario a “se stessi”, imponibile IVA in Italia ai sensi dell’art. 38, comma 3, lett. b), del D.L. n. 331/1993 (corrispondente all’art.17, par. 1, della Direttiva n. 2006/112/CE).
Ipotizzando che la condizione in esame non sia soddisfatta, è dato osservare che il momento di effettuazione dell’ordine di vendita dei beni lavorati è irrilevante ai fini degli obblighi IVA che l’impresa francese deve adempiere nel territorio dello Stato italiano.
Infatti, che l’ordine di vendita sia anteriore o successivo al trasferimento dei beni in Italia, resta fermo l’obbligo, da parte dell’operatore francese, di identificarsi ai fini IVA direttamente (ex art. 35-ter del D.P.R. n. 633/1972) o per mezzo di un rappresentante fiscale.
Come anticipato, l’apertura della partita IVA è indispensabile per provvedere all’acquisizione intracomunitaria dei beni trasferiti in Italia e, in definitiva, se i beni da lavorare sono stati ivi trasferiti in sospensione d’imposta si rende necessario regolarizzare l’acquisto intracomunitario, previa identificazione ai fini IVA (C.M. 23 febbraio 1994, n. 13-VII-15-464, § B.1.3). In proposito, l’art. 17, par. 3, della Direttiva n. 2006/112/CE dispone che la regolarizzazione deve essere operata rispetto al momento in cui la condizione sospensiva cessa di essere soddisfatta (nella specie, quando è intervenuto l’ordine di vendita, successivamente al trasferimento dei beni in Italia).
Riguardo al trattamento IVA della vendita dei beni lavorati, si fa presente che se l’acquirente è un’impresa italiana, la partita IVA accesa in Italia dall’impresa francese non può addebitare l’IVA sulla cessione interna posta in essere. In questa ipotesi, l’art. 17, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972 impone, infatti, l’applicazione del reverse charge da parte del cliente italiano e, sul punto, è utile richiamare la circolare dell’Agenzia delle Entrate 29 luglio 2011 n. 37 (§ 4.2), nella parte in cui viene precisato che, dal 1° gennaio 2010, “l’IVA relativa a tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi territorialmente rilevanti ai fini dell’imposta in Italia – rese da soggetti non residenti (ad eccezione di quelle rese per il tramite di una stabile organizzazione in Italia) – deve sempre essere assolta dal cessionario o committente, quando questi sia un soggetto passivo stabilito in Italia, mediante l’applicazione del meccanismo del reverse charge, ancorché il cedente o prestatore sia identificato ai fini IVA in Italia, tramite identificazione diretta o rappresentante fiscale”.
Se, invece, l’acquirente è un’impresa non italiana, è la partita IVA italiana dell’impresa francese che deve fatturare l’operazione applicando il regime di non imponibilità proprio delle cessioni intracomunitarie o delle cessioni all’esportazione, nonché adempiere agli altri ulteriori obblighi previsti dalla normativa italiana (es. modelli INTRASTAT, dichiarazione IVA annuale, ecc.). In questo caso, infatti, la cessione è territorialmente rilevante in Italia, ai sensi dell’art. 7-bis, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, per cui gli obblighi IVA vanno adempiuti nel nostro Paese.