Alcune riflessioni sul codice del terzo settore
di Guido MartinelliLa lettura del D.Lgs. 117/2017 consente di cogliere alcune curiosità interessanti. Ne esaminiamo qualcuna, precisando che tutti gli articoli di seguito indicati, se non diversamente specificato, si riferiscono al codice del terzo settore.
Iniziamo dall’articolo 14, laddove si prevede, al secondo comma, che gli enti del terzo settore che abbiano entrate superiori ai centomila euro debbono pubblicare sul proprio sito internet “gli eventuali emolumenti, compensi o corrispettivi a qualsiasi titolo attribuiti …”.
Dovendo già, comunque, pubblicare, ai sensi del precedente articolo 13, i bilanci, dove “dovrebbe” già essere presente per totale questo dato, si riteneva che questo ulteriore onere ne prevedesse la pubblicazione percettore per percettore.
Ma questa piccola certezza è stata travolta dal D.M. 04.07.2019 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, contenente le linee guida per la redazione del bilancio sociale, dove si legge che “Le informazioni sui compensi di cui all’articolo 14 comma 2 del codice del terzo settore costituiscono oggetto di pubblicazione anche in forma anonima”. Se così deve essere, viene meno, forse anche legittimamente sotto il profilo della privacy, la funzione di trasparenza della norma, anche al fine di poter valutare la sussistenza di eventuali lucri indiretti. Pertanto, quale sarà la ratio legis di questo adempimento?
L’articolo 83, comma 3 contiene una norma che potrebbe avere effetti esplosivi per la responsabilità degli amministratori degli enti del terzo settore.
Viene, infatti, previsto che si debba comunicare, al momento della iscrizione al Runts, la propria eventuale natura di ente non commerciale. Nel caso in cui, però, tale natura si perda, questa andrà: “comunicata dal rappresentante legale dell’ente all’ufficio del registro unico nazionale del terzo settore della regione o della provincia autonoma in cui l’ente ha la sede legale entro trenta giorni dalla chiusura del periodo di imposta nel quale si è verificata”.
Ne deriva, che, di fatto, detti enti dovranno riuscire a fare il test di commercialità di cui all’articolo 79, comma 2, entro il mese di gennaio.
Se non ci si riuscisse, o più semplicemente si dimenticasse, la sanzione amministrativa in capo al “legale rappresentante dell’ente” ammonterebbe da un minimo di 500 a un massimo di 5.000 euro.
L’articolo 16 prevede che, ai lavoratori degli enti del terzo settore, debba spettare un trattamento economico non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro.
La tesi ormai prevalente è che anche detti enti, se riconosciuti ai fini sportivi dal Coni, possono riconoscere i c.d. compensi sportivi, ossia quelli previsti e disciplinati dall’articolo 67, comma 1, lettera m) Tuir.
Ebbene, se può considerarsi pacifico che i percettori di detti compensi siano da considerarsi lavoratori, potremmo avere gli sportivi al “minimo sindacale”. E se questo superasse, come supera, i diecimila euro, che fare?
È dato pacifico che le attuali Onlus, nel caso in cui decidessero di non iscriversi in alcuna sezione del Runts, perdono la loro natura e sono obbligate alla devoluzione del patrimonio incrementato nel periodo in cui hanno goduto di tale status.
Ma la domanda che ci si pone è: come calcolarlo in presenza di associazioni che hanno tenuto un rendiconto per cassa relativo solo alla loro attività istituzionale? L’eventuale devoluzione ad un soggetto determinato dovrà essere autorizzata? Da chi, Agenzia delle Entrate o runts? Nel caso in cui non rispettasse tale obbligo ma essendo comunque rimasta, ad esempio, un’associazione sportiva dilettantistica che non ha distribuito utili o distolto il patrimonio dalla destinazione ufficiale, da chi potrà essere controllata e “come” potrà essere sanzionata?
L’articolo 11 prevede, al suo secondo comma, che gli enti del terzo settore “che esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente in forma di impresa commerciale” sono tenuti all’iscrizione sia al registro unico nazionale del terzo settore che al registro delle imprese.
Ci si chiede: c’è differenza tra un ets “commerciale” e uno che svolge la propria attività in forma di impresa? Sarebbe importante che, anche su questo, arrivassero chiarimenti.
L’articolo 15 prevede, al suo terzo comma, che gli associati e gli aderenti abbiano diritto di esaminare i libri sociali. Tra questi è presente il libro soci, quello dei verbali del direttivo, dei revisori e, eventualmente, dei probiviri.
Detti verbali potrebbero contenere anche dati o informazioni protette o che, comunque, il titolare non ha autorizzato al trattamento da parte di terzi.
Come fare a conciliare la previsione del codice del terzo settore con la tutela della privacy? Anche su questo si spera che presto il Garante stabilisca come comportarsi legittimamente.