Aliquota ridotta se viene accertato lo status di beneficiario effettivo
di Marco BargagliNel panorama tributario internazionale, il treaty shopping viene da sempre considerato un pernicioso fenomeno di elusione fiscale finalizzato ad ottenere un indebito risparmio d’imposta, mediante il quale si tende a sfruttare indebitamente il regime vantaggioso contenuto in una o più Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni sul reddito, attraverso l’artificiosa localizzazione di una struttura economica (c.d. conduit company o società veicolo) in uno dei Paesi aderenti ad una determinata Convenzione internazionale, affinché detta struttura diventi funzionale alla fruizione delle agevolazioni previste da un trattato internazionale, altrimenti non spettanti.
Per scongiurare tale fenomeno, la “clausola del beneficiario effettivo” è presente i molti trattati internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi stipulati dall’Italia con altri Paesi, nella direttiva comunitaria n. 2003/49/CE (interessi canoni) e nelle disposizioni domestiche (es. articolo 26-quater D.P.R. 600/1973).
L’edizione 2014 del modello Ocse di Convenzione e relativo Commentario prevede che è considerato il beneficiario effettivo dei flussi reddituali, quando il percettore dei redditi goda del semplice diritto di utilizzo dei flussi reddituali (right to use and enjoy the interest) e non sia, conseguentemente, obbligato a retrocedere gli stessi ad altro soggetto, sulla base di obbligazioni contrattuali o legali, desumibili anche in via di fatto (unconstrained by a contractual or legal obligation to pass on the payment received to another person).
In tale ambito, la prassi operativa (Cfr. Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza – volume III – parte V – capitolo 11 “Il contrasto all’evasione e alle frodi fiscali di rilievo internazionale”, pag. 333 e ss.), ha individuato altre forme di pianificazione fiscale aggressiva quali, ad esempio:
- il “directive shopping”, fenomeno che si realizza quando un’entità residente in uno Stato non appartenente all’UE interpone in uno Stato membro, con il quale – di norma – lo Stato in cui risiede ha stipulato una convenzione contro le doppie imposizioni ritenuta favorevole, un’altra entità (conduit company), al solo scopo di beneficiare, indebitamente, del regime fiscale previsto dalla disciplina dell’Unione Europea;
- Il “rule shopping”, che consiste nella ricerca, all’interno di una Convenzione internazionale, della disposizione che comporta il minor prelievo fiscale, adeguando ad essa, quanto meno da un punto di vista formale, le operazioni economiche che si intendono porre in essere.
A livello domestico, l’articolo 26-quater D.P.R. 600/1973, introdotto dal D.Lgs. 143/2005 per recepire la Direttiva 2003/49/CE del 03.06.2003 (c.d. direttiva “Interessi-Canoni”), prevede l’esenzione dalle imposte sugli interessi e sui canoni (royalties) corrisposti nei confronti di soggetti residenti in Stati membri dell’Unione Europea a condizione che il soggetto estero percipiente sia il beneficiario effettivo degli interessi e/o dei canoni.
Di contro, il trattamento fiscale dei dividendi, prevede:
- un regime del rimborso (ex articolo 27-bis, comma 1, D.P.R. 600/1973) dalla ritenuta alla fonte corrisposta al momento del pagamento dei redditi, nei confronti della casa madre non residente. La società figlia residente in Italia, applicando la direttiva madre-figlia, opera così una ritenuta alla fonte a titolo di imposta pari al 1,20% (ex articolo 27, comma 3-ter, D.P.R. 600/1973) e, simmetricamente, il soggetto estero che ha percepito i dividendi, potrà richiedere il rimborso della stessa;
- un regime dell’esenzione (articolo 27-bis, comma 3, D.P.R. 600/1973). In questo caso, il soggetto residente in Italia che ha erogato i redditi all’estero, sempre in ottemperanza alle disposizioni previste dalla Direttiva madre-figlia, su richiesta del soggetto non residente non applica la ritenuta alla fonte a titolo di imposta nella misura indicata nell’articolo 27, comma 3-ter, D.P.R. 600/1973.
Importanti principi di diritto in tema di ritenuta alla fonte a titolo d’imposta da applicare sui dividendi sono stati diramati dalla suprema Corte di cassazione, con la recente sentenza n. 25195/2022 pubblicata in data 24.08.2022.
Gli Ermellini, respingendo le argomentazioni proposte da parte dell’Agenzia delle entrate, hanno sancito che le agevolazioni fiscali previste dagli accordi internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi si applicano se il percettore dei redditi è assoggettato ad imposta ed è fiscalmente residente nell’altro Stato contraente.
La suprema Corte, sulla base di un granitico approccio ermeneutico espresso in sede di legittimità, ha più volte affermato che il concetto di “beneficiario effettivo”, elaborato dalla prassi internazionale tributaria e successivamente adottato dai vari trattati sottoscritti, ha la chiara finalità di contrastare le pratiche volte a trarre profitto dalla autolimitazione della potestà impositiva statale, ovvero ad impedire che i soggetti possano abusare dei trattati fiscali attraverso pratiche di treaty shopping, con lo scopo di ottenere una protezione cui non avrebbero avuto diritto, ovvero di subire un trattamento fiscale più favorevole (ex multis cfr. Corte di cassazione, sentenza n. 24287/2019; Corte di cassazione, sentenza n. 27112/2016; Corte di cassazione, sentenza n. 25281/2015).
In definitiva, in virtù di tale clausola, può “fruire dei vantaggi garantiti dai trattati solo il soggetto sottoposto alla giurisdizione dell’altro Stato contraente che abbia l’effettiva disponibilità giuridica ed economica del provento percepito, realizzandosi altrimenti una traslazione impropria dei benefici convenzionali o addirittura un fenomeno di non imposizione (Cass. n. 32840/2018)”.