Alla ricerca della disciplina Iva nel 110%
di Roberto CurcuLa disciplina del superbonus è stata oggetto di numerosi chiarimenti, forse troppi. Una pagina del sito internet dell’Agenzia delle Entrate raccoglie circa 140 risposte ad interpello. A queste, verosimilmente, si aggiungeranno altre risoluzioni, circolari, istanze alle consulenze giuridiche, ecc….
Ciò nonostante, alcuni importanti chiarimenti in tema di Iva non sono stati ancora forniti.
Le questioni più dubbie, ad avviso di chi scrive, sono tre:
- l’individuazione dell’aliquota Iva degli interventi edili,
- la possibilità che determinate spese tecniche possano acquisire la medesima aliquota Iva dei lavori,
- e la disciplina del corrispettivo richiesto per l’attualizzazione del credito.
Partiamo dal primo punto, cioè l’aliquota Iva degli interventi edili.
Il superbonus non ha modificato il regime Iva delle classiche operazioni edili, e quindi nulla dovrebbe essere cambiato rispetto al passato. In particolare, gli interventi di recupero potrebbero essere costituiti da cessioni di beni con posa in opera, o prestazioni di servizi derivanti da contratti di appalto, per le quali esiste la possibilità di applicare l’aliquota del 10%.
Tuttavia, a seconda del tipo di intervento di recupero posto in essere, l’applicazione di tale aliquota del 10% può trovare delle limitazioni, in particolare per quelli di manutenzione ordinaria e straordinaria nei quali sono presenti beni significativi, per un valore che supera la metà del corrispettivo pattuito.
Nel caso in cui il lavoro, dal punto di vista urbanistico, venga qualificato come restauro e risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia, il problema dei beni significativi non sussiste.
Il fiscalista non dovrebbe entrare nel merito della qualificazione dell’intervento di recupero da un punto di vista urbanistico, essendo cosa che spetta a professionisti quali geometri ed ingegneri.
A livello “macro”, tuttavia, gli interventi di manutenzione straordinaria sono quelli nei quali vengono eseguite “opere e modifiche”, mentre quelli di restauro e risanamento conservativo sono quelli in cui si pone in essere “un insieme sistematico di opere”.
Sul punto, però, segnaliamo che nel corso del 2021 l’articolo 119 D.L. 34/2020 si è arricchito del comma 13-ter, che tra le altre cose prevede che “Gli interventi di cui al presente articolo, anche qualora riguardino le parti strutturali degli edifici o i prospetti, con esclusione di quelli comportanti la demolizione e la ricostruzione degli edifici, costituiscono manutenzione straordinaria (…)”.
In sostanza, i nuovi titoli edilizi per lavori che possono beneficiare del superbonus dovrebbero essere sempre qualificati, da un punto di vista urbanistico, come interventi di manutenzione straordinaria.
Qualora tale norma, scritta per velocizzare l’utilizzo del superbonus abbia anche effetti sulla disciplina fiscale (cosa che non è stata chiarita), la conseguenza è che in presenza di beni significativi deve essere sempre indicato in fattura il loro valore, e se lo stesso supera il 50% del corrispettivo totale, l’applicazione dell’aliquota del 10% incontra dei limiti.
Una volta capito che i lavori propriamente edili sono soggetti ad aliquota del 10%, eventualmente con i limiti in presenza di beni significativi, ci si chiede quale debba essere la disciplina Iva delle spese tecniche ed amministrative fatturate dallo stesso soggetto che addebita anche il valore delle opere edili.
Sul punto, con la risoluzione 168/1999 fu chiarito che le spese di progettazione di un impianto devono essere assoggettate ad aliquota ordinaria quando sono rese autonomamente; quando invece “non siano rese autonomamente, bensì in dipendenza dell’unico contratto di appalto, avente ad oggetto la complessiva realizzazione dell’opera”, possono essere fatturate con lo stesso regime applicabile agli interventi di realizzazione dell’opera edile.
Nella risoluzione è stato quindi chiarito che le spese di progettazione si qualificano come accessorie a quelle relative alla realizzazione dell’intervento, e tale posizione è condivisibile.
Da sempre, le operazioni accessorie sono quelle che permettono di integrare, completare o rendere possibile l’operazione principale, e sono poste in essere dallo stesso soggetto.
Il dubbio che si pone lo scrivente è se tutte le spese “tecniche” ed “amministrative” possano essere qualificate come accessorie, ed in particolare quelle necessarie per ottenere l’agevolazione fiscale (Ape, visti di conformità, ecc…).
In sostanza, l’operazione principale è quella di “riqualificazione energetica di un edificio”, o quella di “riqualificazione energetica di un edificio a spese dello Stato”?
In altri termini, se acquistassi un bene ad aliquota ridotta, ed il venditore dovesse offrire anche un servizio amministrativo per richiedere dei contributi all’ente pubblico, tale servizio amministrativo potrebbe qualificarsi come accessorio, ed essere fatturato ad aliquota ridotta?
Sul punto, peraltro, c’è da segnalare che se non dovessero essere considerate accessorie, e fatturate indistintamente rispetto ai corrispettivi per altre spese, la posizione dell’Agenzia potrebbe essere quella di vedere una unica prestazione alla quale applicare l’Iva ad aliquota più elevata.
Il problema dell’accessorietà, impatta infine su quel famoso 10% di “attualizzazione finanziaria”.
In sostanza, se l’impresa fattura al privato 100, Iva inclusa, il privato ottiene un contributo di 110. Il problema sorge quando il privato cede il credito di 110 all’impresa.
Ricevendo l’impresa un corrispettivo pari a 110, ed essendo il corrispettivo il parametro per determinare la base imponibile di una operazione, la fattura non dovrebbe più essere di 100 (Iva inclusa), ma di 110 (sempre Iva inclusa). Ma con una fattura di 110 il privato otterrebbe (e cederebbe) un credito di 121. In sostanza, si entrerebbe in un loop dal quale non se ne uscirebbe…
Sul fatto che il corrispettivo di una operazione debba essere pari al valore di ciò che riceve, non dovrebbero esserci dubbi.
Se si cede a listino un bene a 100, pagamento pronta cassa, e ad un cliente particolare si concede una dilazione di pagamento di cinque anni, concordando però che il corrispettivo totale sarà di 110, quale sarà la base imponibile dell’operazione?
Il fatto è che per evitare il loop di cui sopra, il valore di 10 “deve esserci ma non deve vedersi”.
In questo senso pareva dirimente della questione la risposta ad interpello 369/2021, con la quale fu chiarito che l’acquistare crediti fiscali del superbonus a prezzo ridotto, comporta la realizzazione di una operazione finanziaria esente da Iva, che è esonerata dall’obbligo di fatturazione e di certificazione del corrispettivo.
In sostanza, il fornitore emette la fattura di 100 Iva inclusa, e poi inserisce i 10 di provento esente solo nel rigo VE33 della Dichiarazione Iva. Ci si dovrà solo preoccupare di capire se tale provento genera o meno pro-rata (la maggior parte delle volte no), e come evidenziare la cosa in dichiarazione.
Questa soluzione sembra tuttavia entrare in crisi, con la lettura della risposta ad interpello n. 243 del 05.05.2022, con la quale l’Agenzia delle Entrate ha precisato che il corrispettivo pattuito da un professionista per l’acquisto del credito è accessorio alla prestazione professionale resa, e quindi ne assume il regime fiscale, che è quello di imponibilità ad Iva con aliquota ordinaria.
Soluzione prospettata che, in linea di principio, non fa una piega.
In questo senso, già con la risoluzione 41033/1976, il Ministero delle Finanze precisò che gli interessi per dilazione di pagamento sono da considerare accessori all’operazione principale.
Segnaliamo tuttavia che l’esistenza dell’accessorietà tra l’operazione di finanziamento e l’operazione sottostante è stata messa in discussione da due sentenze della Corte di Giustizia Europea.
In sostanza, volendo ripetere il quesito di prima, siamo sicuri che l’acquisto di un credito a 5 anni sia una operazione che permette di integrare, completare o rendere possibile una operazione di ristrutturazione edilizia?