Alternatività Iva-registro estendibile ai giudizi di opposizione allo stato passivo
di Alessandro CarlesimoLe pronunce che definiscono i giudizi di opposizione allo stato passivo del fallimento con l’accertamento di crediti soggetti ad iva rientrano nel perimetro di applicazione del principio di alternatività iva-registro.
È quanto si ricava da una recente sentenza della Cassazione che segna una vero e proprio cambio di rotta nella qualificazione delle suddette fattispecie ai fini dell’imposta di registro.
La questione viene in rilievo ogni qualvolta il contribuente riceve un avviso di liquidazione recante la pretesa dell’imposta di registro in misura proporzionale, laddove il presupposto del prelievo sia riferibile alla registrazione del provvedimento che decide sull’opposizione ex articolo 98 L.F. avverso il rigetto della domanda di ammissione allo stato passivo.
Ad una prima lettura del D.P.R. 131/1986 (in seguito, Tur) si osserva che il decreto statuente sul giudizio di opposizione al progetto di stato passivo fallimentare risulterebbe classificabile tra gli atti di accertamento di diritti a contenuto patrimoniale (cfr. Cass. n. 19247/2012, Cass. n. 17947/2012, Cass. n. 17946/2012, Cass. n. 14816/2011), rispetto ai quali la tariffa prevede il prelievo proporzionale pari all’1% del credito (articolo 8, comma 1, lett. c), Tariffa, Parte Prima, allegata al Tur).
Al contrario, l’imposta risulta dovuta in misura fissa con riferimento alle pronunce di cui all’ articolo 8, comma 1, lett. b) della Tariffa, parte prima, allegata al Tur, disponenti la condanna al pagamento dei crediti maturati in relazione ad operazioni soggette ad iva, stante l’espresso richiamo alla tassazione in misura predeterminata, in luogo di quella proporzionale, sancito alla Nota II della medesima Tariffa.
Tale regola costituisce una particolare attuazione del sistema di alternatività Iva-registro (articolo 40 Tur) ed è diretta ad evitare fenomeni di duplicazione dell’imposta che si manifesterebbero laddove si applicasse l’imposizione proporzionale su somme già colpite dall’Iva.
La dicotomia nel diverso trattamento fiscale dei due atti giudiziari, tuttavia, non ha trovato condivisione nella sentenza della Corte di Cassazione n. 31409/2018, nella quale gli Ermellini hanno esteso la portata applicativa del principio di alternatività Iva-registro.
La controversia affrontata dal Collegio traeva origine dall’esclusione dal concorso fallimentare di un credito vantato da un istituto bancario, riconducibile a corrispettivi soggetti ad Iva. Successivamente il Tribunale, previa istanza di opposizione allo stato passivo formulata dalla banca, ammetteva al concorso tale credito riconoscendone l’esistenza.
L’Ufficio delle Entrate notificava al contribuente l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro in misura proporzionale gravante sulla pronuncia di ammissione del credito insinuato al passivo.
L’atto impositivo veniva impugnato dal contribuente ed annullato in primo grado, con conseguente liquidazione dell’imposta fissa.
Viceversa, nelle more del giudizio successivo la banca risultava soccombente.
La CTR accoglieva il ricorso dell’Ufficio ritenendo che il principio di alternatività sopra citato non operasse con riferimento ai giudizi di opposizione in oggetto, essendo circoscritto ai soli atti dell’autorità giudiziaria “recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura” (ovvero al ricorrere dell’ipotesi prevista all’articolo 8, comma 1, lett. b), Tur).
Il contribuente proponeva ricorso per Cassazione lamentando l’omessa considerazione dell’equivalenza tra pronunce di condanna al pagamento e le pronunce endofallimentari volte a definire l’opposizione all’esclusione allo stato passivo.
La Cassazione ha accolto le doglianze del contribuente interpretando in chiave Costituzionale le norme anzidette, richiamando, in particolare, i principi espressi nella sentenza 177/2017 Corte Cost., nella quale si dichiarava illegittimo l’articolo 8, comma 1, lettera c), della Tariffa, Parte prima, allegata al Tur “nella parte in cui assoggetta all’imposta di registro proporzionale, anziché in misura fissa, anche le pronunce che definiscono i giudizi di opposizione allo stato passivo del fallimento con l’accertamento di crediti derivanti da operazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto”.
In quella circostanza la Consulta riteneva fondata la questione di legittimità sollevata dal Giudice remittente, sull’assunto che la suddetta norma, così applicata, avrebbe prodotto un irragionevole trattamento differenziato delle pronunce di accertamento di crediti derivanti da operazioni soggette ad Iva e le pronunce di condanna al pagamento degli stessi crediti, comportando una lesione del principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 Cost..
A ben vedere, la limitazione della tariffa agevolata alle sole pronunce di condanna avrebbe effettivamente determinato una disparità di trattamento tra contribuenti in situazioni analoghe, ponendo il creditore del soggetto fallito in una posizione deteriore rispetto al creditore del soggetto non fallito.
Il primo infatti, non potendo promuovere autonomamente un’azione di condanna al pagamento, non avrebbe mai potuto fruire del beneficio al pagamento dell’imposta fissa, in quanto, in ossequio alla par condicio creditorum, avrebbe invece dovuto sottostare alle regole dell’esecuzione collettiva, le quali vietano al creditore di agire in via ordinaria per l’ottenimento di un atto di condanna al pagamento (cfr. articolo 52 L.F.).
Da questo angolo visuale, i decreti che decidono sulle opposizioni allo stato passivo, ancorché di natura ricognitiva, assurgono alla medesima funzione dei provvedimenti di condanna, considerato che sono strumentali alla partecipazione al piano di riparto dell’attivo residuo e, dunque, al pagamento del credito, sia pure in misura parziale e nei limiti della capienza del patrimonio del debitore assoggettato alla procedura concorsuale.