27 Ottobre 2020

Alti compensi ai soci-amministratori non giustificano la bassa redditività

di Lucia Recchioni - Comitato Scientifico Master Breve 365
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La scheda di FISCOPRATICO

Gli elevati compensi riconosciuti ai soci-amministratori non sono idonei a giustificare la redditività della società, particolarmente bassa rispetto a quella delle altre imprese del territorio. Non è quindi possibile assimilare questi importi agli utili attribuiti per trasparenza, e, anzi, la società deve essere in grado di dimostrare il motivo per il quale i suddetti compensi sono superiori agli utili maturati dalla società.

È questa, in sintesi, la posizione assunta dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 23427, depositata ieri, 26 ottobre.

Il caso riguarda una società che aveva ricevuto degli avvisi di accertamento emessi con il metodo analitico-induttivo in considerazione dell’indice di redditività dichiarato dalla stessa (pari al 5,5%), particolarmente basso in confronto a quello degli altri soggetti che operavano nello stesso settore, pari al 27,10%.

L’Agenzia delle entrate, quindi, rideterminava il reddito, applicando una percentuale di redditività pari alla metà di quella delle altre società del territorio (13,55%).

Si opponevano i soci e la società rilevando non solo che l’accertamento era fondato esclusivamente su questo scostamento, ma, soprattutto, evidenziando che era stata deliberata l’attribuzione di un compenso particolarmente alto ai soci-amministratori della società (pari a 69.100 euro), che, quindi, nel conto economico della società, figurava come un costo, abbattendo la redditività. Gli stessi importi, quindi, potevano essere assimilati ai redditi attribuiti ai soci per trasparenza.

Le doglianze venivano accolte in secondo grado, ma di diverso avviso si è mostrata la Corte di Cassazione.

In primo luogo i Giudici hanno evidenziato che l’Ufficio ha tenuto conto non solo della percentuale di redditività, ma anche dei risultati di non coerenza e non congruità degli studi di settore.

Hanno inoltre precisato che “l’Agenzia delle entrate può procedere ad accertare maggiori ricavi…anche con l’utilizzo delle medie di settore, pure in presenza di una contabilità regolarmente tenuta, se la difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente, rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza, raggiunge livelli di abnormità e irragionevolezza”.

Con specifico riferimento ai compensi attribuiti agli amministratori, la Corte di Cassazione ha sottolineato come gli stessi fossero stati quantificati in 69.100 euro, pur a fronte di un reddito della società pari a 63.317 euro: “pertanto i compensi agli amministratori sarebbero persino superiori ai redditi d’impresa. Né è stata in alcun modo allegata la ragione di tale importo dei compensi agli amministratori di una società di persone, che non può certo sostituire l’imputazione per trasparenza degli utili ai sensi dell’articolo 5 del d.p.r. 917/1986”.