Ammissibile il ricorso multiplo su questioni identiche
di Angelo GinexÈ ammissibile nel rito tributario il ricorso cumulativo-collettivo, ove abbia ad oggetto identiche questioni dalla cui soluzione dipenda la decisione della causa, non essendo prevista dal D.Lgs. 546/1992 alcuna disposizione in ordine al cumulo dei ricorsi ed essendo applicabile l’articolo 103 c.p.c., in tema di litisconsorzio facoltativo, in forza del rinvio generale alle norme del codice di procedura civile ex articolo 1, comma 2, D.Lgs. 546/1992, per quanto da esso non disposto e nei limiti della loro compatibilità con le sue norme. È questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 10150 del 11.04.2019.
La vicenda trae origine dall’impugnazione di un diniego di rimborso dell’Iva indebitamente versata sulla Tarsu, poi mutata in Tia.
In particolare, il ricorso introduttivo era stato proposto da ben tredici contribuenti, i quali avevano ricevuto distinti atti impositivi, accomunati solo dalla tipologia del tributo richiesto.
Detto ricorso cumulativo-collettivo era, tuttavia, dichiarato inammissibile dai competenti giudici di prime cure e tale decisione era, altresì, confermata anche in sede d’appello dai giudici del gravame, attesa la diversità dei presupposti di fatto dedotti nell’atto impositivo, quali la superficie dell’immobile occupato e il numero degli occupanti.
Dirimente ai fini dell’ammissibilità del ricorso non poteva, inoltre, essere anche la circostanza della presentazione di una comune istanza di rimborso, trattandosi a loro avviso di «una scelta operativa delle parti che non può condizionare l’ammissibilità dell’azione e che soprattutto non muta la diversità dei fatti storici posti a fondamento delle plurali e distinte pretese tributarie».
Da tali elementi di diversità, dunque, i giudici di seconde cure facevano discendere l’insussistenza dei presupposti del litisconsorzio tributario.
I contribuenti si inducevano, pertanto, a proporre ricorso per cassazione, deducendo la violazione di legge ex articolo 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per erronea applicazione degli articoli 1, 14, 18 e 19 D.Lgs. 546/1992 e dell’articolo 103 c.p.c.
Nella specie, i ricorrenti deducevano l’ammissibilità della proposizione di un ricorso collettivo nel caso di litisconsorzio facoltativo attivo, in quanto applicabile anche nel processo tributario ed essendo ininfluente la rilevata diseguaglianza dei presupposti di fatto che vi avevano dato luogo.
La superficie degli immobili occupata e il numero degli occupanti rilevavano, infatti, meramente per il calcolo della base imponibile.
Inoltre, la circostanza della presentazione dell’istanza collettiva di restituzione dell’Iva avrebbe avuto rilevanza quale importante contingenza di fatto, in quanto dal relativo documento si ricavava la data di avvio di ciascun procedimento di rimborso, così come quella di formazione del relativo provvedimento di silenzio-rifiuto, utile al fine di presentare tempestivamente ricorso.
I Supremi giudici, ritenendo fondata la censura della ricorrente e dando continuità all’orientamento prevalente in sede di legittimità, hanno chiarito che è possibile estendere al processo tributario il litisconsorzio facoltativo, disciplinato dall’articolo 103 c.p.c., sulla scorta del generale rinvio alle norme del codice di procedura civile operato dall’articolo 1, comma 2, D.Lgs. 546/1992.
Da ciò ne deriva l’ammissibilità della proposizione di un ricorso congiunto da parte di più soggetti, anche se in relazione a distinti atti impositivi, ove questo abbia ad oggetto identiche questioni dalla cui soluzione dipenda la decisione della causa.
Orbene, nel caso de quo, la pronuncia di inammissibilità del ricorso da parte dei giudici del gravame, che sancisce l’inammissibilità del ricorso cumulativo-collettivo, sulla base della necessaria comunanza delle questioni in diritto e in fatto, è stata reputata inconferente dai giudici di legittimità, in quanto la contestazione dell’ente impositore rispetto alle istanze di rimborso si sarebbe fondata su questioni di diritto, e non di fatto, comuni ai contribuenti medesimi (Cfr. Cass., n. 10578/2010).
Pertanto, il richiamo alla necessaria identità in fatto delle questioni, sancito dalla sentenza richiamata, sarebbe stato eccessivo ed inutile.
Inoltre, nel ricorso introduttivo non è stato contestato il presupposto impositivo, quanto piuttosto la natura tributaria o meno della prestazione pecuniaria richiesta, questione dalla cui soluzione sarebbe dipeso il diritto a ripetere gli importi versati a titolo di Iva.
Pertanto, per quest’ordine di ragioni, il ricorso dei contribuenti è stato accolto e la sentenza è stata cassata con rinvio al giudice del gravame, in differente composizione.
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