Analitico induttivo: non necessario il riferimento normativo preciso se dall’atto si desume la tipologia di accertamento utilizzata. La “sostanza” dei dati contabili rileva in fase di controllo
di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
La Corte di Cassazione con l’interessante sentenza n. 16861 depositata in Cancelleria in data 24 luglio 2014, ha affrontato, tra le altre tematiche, due aspetti delicati relativi al ricorso all’accertamento analitico induttivo. Il primo involge il corretto richiamo normativo nella parte motiva dell’avviso di accertamento, laddove spesso si assiste da parte degli Uffici a dei richiami generici verso l’articolo 39, senza specificare se trattasi del primo comma (dove peraltro bisogna distinguere tra accertamenti analitici e analitici induttivi di cui alla lettera d) secondo periodo), ovvero del successivo secondo comma, dedicato agli accertamenti induttivi extracontabili. La seconda problematica, invece, concerne il reale impatto della “sostanza” dei dati emergenti nella contabilità. Spesso, anche in fase di dichiarazione dei redditi, l’attenzione è concentrata alla correttezza formale delle scritture contabili, mentre sfugge il dato sostanziale che emerge dalle informazioni concernenti la modalità con cui è svolta l’attività. Non deve mai ritenersi superfluo ripetere che ciò che conta realmente è l’insieme dei valori (intesi in termini di quantità) delle rimanenze iniziali, degli acquisti e delle rimanenze finali dei fattori produttivi impiegati, in quanto il dato della c.d. “quantità del venduto” è fondamentale per la ricostruzione analitico induttiva dei ricavi dichiarati.
La sentenza in commento peraltro contiene anche un’importante precisazione iniziale circa un’ulteriore contestazione riguardante la presunta inammissibilità dell’appello per assenza della sottoscrizione del direttore dell’Ufficio, dato che l’atto era stato firmato dal Capo del Reparto Contenzioso. I supremi giudici hanno al riguardo sottolineato che la sottoscrizione dell’atto di appello, come già ribadito da altre sentenze della medesima Corte, deve ritenersi valida quando proviene dal funzionario preposto al reparto competente “(…) poiché la delega da parte del titolare dell’Ufficio può essere legittimamente conferita in via generale mediante la preposizione del funzionario ad un settore dell’Ufficio (…)”. Inoltre, la provenienza di un atto dell’Agenzia delle Entrate e la relativa idoneità a rappresentare la volontà dell’Amministrazione Finanziaria si presumono esistenti fino a che non sia provata la non appartenenza del sottoscrittore all’Ufficio, ovvero l’usurpazione dei poteri esercitati.
Effettuata la richiamata premessa, la sentenza affronta le due problematiche richiamate riguardanti gli accertamenti analitici induttivi. In primo luogo la Corte si sofferma sull’assenza del preciso riferimento normativo all’accertamento utilizzato, essendo stato richiamato in maniera generica l’articolo 39 del Tuir, contenente, come precisato, le tre diverse tipologie di accertamento fiscale utilizzabili in materia di reddito d’impresa. Anche in tal caso l’eccezione del contribuente è ritenuta infondata, in quanto si sottolinea che è necessario vagliare la motivazione del provvedimento. Se la stessa è congrua e idonea a consentire al contribuente la verifica dei presupposti dell’avviso di accertamento, nonché degli elementi che hanno condotto al recupero reddituale, allora anche il richiamo generico all’articolo 39 del DPR 600/73 è ritenuto valido. In sincerità tale posizione appare sin troppo “benevola” nei confronti dell’amministrazione finanziaria, soprattutto se si considera che la diversa configurazione dell’avviso di accertamento ha delle implicazioni importantissime, in primis sul fronte del riconoscimento dei c.d. “costi occulti”; tali componenti negativi, infatti, in caso di accertamento extracontabile puro devono sempre essere riconosciuti.
Non resta comunque che analizzare con dovizia di particolari la motivazione dell’accertamento. Deve dirsi che nei casi classici di recuperi analitici (ad esempio, errati ammortamenti), o analitici induttivi (ricostruzione sui dati presenti in contabilità con presunzioni gravi, precise e concordanti), la lettura dell’atto non dovrebbe creare grossi impedimenti. Maggiori perplessità si hanno invece nel caso delle indagini finanziarie, soprattutto quando avviene un recupero asettico dei prelevamenti: francamente, in tale ipotesi comprendere la scelta dell’amministrazione finanziaria, in assenza di espliciti richiami normativi, è un esercizio difficile e l’illegittimità della motivazione dovrebbe essere evidente (la stessa circolare n. 32 del 2006 precisa che le risultanze delle indagini devono confluire in una delle tipologie di accertamento dal DPR 600/73).
Sul tema invece della “sostanza” dei dati contabili e del relativo impatto in materia di accertamento analitico induttivo i giudici di piazza Cavour confermano un assunto ormai incontrovertibile: la contabilità, ovviamente da tenere in maniera corretta, deve obbligatoriamente essere vagliata sul fronte sostanziale. Se i dati presenti in contabilità (nell’ipotesi trattasi di cemento acquistato e lavorato, rapportato alla vendita di calcestruzzo), evidenziano quantitativi di vendita a nero con una costruzione logica altamente attendibile, la correttezza formale delle scritture non serve praticamente a nulla. È inutile, ad esempio, che il contribuente si faccia fare una fattura ben motivata e dettagliata circa gli acquisti, oppure che rediga uno “spettacolare” (sul piano estetico) dettaglio rimanenze a fine giugno nel solo obiettivo di far quadrare la dichiarazione dei redditi. Se poi l’insieme degli acquisti e delle rimanenze iniziali, al netto delle finali, dice che la produzione di calcestruzzo è stata, ad esempio, di 2 tonnellate e nelle fatture vendite si scorgono solo 2 quintali di vendita, tirare in ballo sfridi, regali, autoconsumi, elargizioni spontanee, donazioni e via dicendo (la fantasia al potere), non porta da nessuna parte: l’accertamento è e resta assolutamente valido, mentre la difesa è una vera arrampicata sugli specchi, che rischia (come nel caso in commento), anche la condanna alle spese.