12 Maggio 2014

Anche le asd possono perdere la qualifica di enti non commerciali

di Carmen MusuracaGuido Martinelli
Scarica in PDF

Non è sufficiente ad escludere la possibilità di perdere la qualifica di ente non commerciale da parte di una associazione sportiva dilettantistica la previsione normativa espressa di non applicabilità a questi enti dei criteri e delle regole di prevalenza della commercialità di cui all’ art. 149 TUIR.

È quanto afferma la Commissione Tributaria Regionale di Bologna con la sentenza n. 83 del 17 dicembre 2013, emessa nei confronti di una associazione sportiva dilettantistica alla quale veniva contestata la natura di ente non commerciale e il conseguente disconoscimento di tutte le agevolazioni fiscali collegate alla suddetta natura e allo status di asd in ragione del sostanziale svolgimento di attività sportiva con modalità e criteri tipicamente imprenditoriali.

L’Agenzia delle Entrate aveva, infatti, riscontrato in sede di ispezione tutta una serie di elementi di fatto che avevano portato alla riqualificazione come commerciali di tutti i proventi incassati dalla verificata: l’assenza della denominazione “sportiva dilettantistica” sul sito internet gestito dall’associazione e sulle pubblicità e cartellonistica; la previsione della possibilità di partecipare ad attività di palestra anche per singole sedute che mal si conciliavano con la qualifica di soci assunta anche dai fruitori occasionali; l’esposizione nei locali di un listino prezzi; la previsione di scontistica, promozioni e convenzioni; la vendita di bevande.

Secondo l’amministrazione e la Commissione Tributaria Provinciale che aveva dato ragione all’Agenzia, quelle sopra elencate apparivano circostanze univoche concordanti e precise che portavano ad escludere la natura non profit dell’associazione e, di conseguenza a concludere per la natura commerciale della stessa in applicazione del disposto di cui all’art. 149 TUIR secondo cui : “Indipendentemente dalle previsioni statutarie, l’ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d’imposta”.

Impugnava la sentenza di primo grado l’asd, contestando la mancata valutazione da parte della Commissione di prime cure di tutte le motivazioni poste a fondamento del ricorso nel quale, a dire dell’appellante, erano stati sconfessati tutte i rilievi di fatto sollevati dall’Ufficio che nell’accertamento non aveva comunque mai messo in discussione la natura sportiva dilettantistica dell’associazione che era regolarmente affiliata ad un ente di promozione sportiva riconosciuto dal CONI oltre che iscritta nel registro nazionale delle associazioni e società sportive dilettantistiche.

In ragione di ciò, l’associazione faceva presente come al comma 4, dell’art. 149 TUIR il legislatore avesse previsto una espressa esclusione dell’operatività della presunzione di commercialità contenuta nella prima parte della medesima norma nei confronti delle associazioni sportive dilettantistiche e, pertanto, se anche fosse stata legittima la riqualificazione come commerciali di tutti i proventi incassati dall’appellante, questa non avrebbe comunque perso la natura di ente non commerciale con conseguente diritto all’utilizzo delle disposizioni di favore previste dal legislatore per questa categoria di enti.

In relazione a ciò, però, la Commissione Tributaria Regionale risponde che : l’affiliazione a Federazione sportiva riconosciuta dal Coni e l’iscrizione nel registro delle ASD, come pure la finalità statutaria, sono elementi formali insufficienti a fronte del principio di effettività che governa invece l’ammissione, o meno, al regime fiscale agevolativo secondo giurisprudenza pacifica […]. In consonanza con la giurisprudenza pacifica, che àncora il regime fiscale agevolativo alla effettiva prevalenza dell’attività non commerciale, ed anche con la evidente “ratio” della agevolazione ( di cui all’art. 149, 4 comma del TUIR), che consiste nel “favor” per gli scopi di utilità sociale riconosciuti dall’ordinamento meritevoli di particolare tutela- escluse quindi le attività a finalità lucrativa prevalente- in quarto comma deve essere interpretato nell’unico modo compatibile con tale “ratio legis”: la norma cioè non deroga il criterio generale di effettività di cui al primo comma ma svincola l’indagine dai parametri di cui al secondo comma (prevalenza di immobilizzazioni, ricavi, redditi o componenti negativi da attività commerciale), i quali, per le associazioni sportive dilettantistiche a differenza che per gli altri enti non commerciali, non comportano “ex se” una presunzione di commercialità.”

La Commissione in ragione di ciò ritiene che le modalità con cui l’associazione svolgeva la sua attività siano estranee allo spirito solidale ed alla finalità non profit di promozione sportiva dichiarata dall’ente che deve pertanto essere considerato un’ impresa commerciale a tutti gli effetti.

La completa lettura della pronuncia però, seppur condivisibile in gran parte, lascia comunque il sentore che, ancora una volta, l’Agenzia delle Entrate prima e gli organi giudicanti poi, abbiano fondato le loro valutazioni su un equivoco di fondo che continua purtroppo a permeare molti giudizi che coinvolgono enti non commerciali in generale e le asd in particolare: cioè che svolgere attività a carattere commerciale significa avere finalità “profit”. Equazione, questa, giuridicamente assolutamente errata.