8 Agosto 2015

Anche lo studio associato deduce i rimborsi chilometrici

di Comitato di redazione
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Più volte, sulle pagine del nostro quotidiano, ci siamo occupati, talvolta in forma individuale e talvolta in forma collettiva, della tematica della deducibilità dei rimborsi chilometrici erogati dagli studi associati ai propri professionisti.

In quelle occasioni abbiamo evidenziato il contrasto di opinioni che, da tempo, si fronteggia:

– da un lato, coloro i quali sostengono che tali erogazioni non sarebbero deducibili nella determinazione del reddito di lavoro autonomo, per le più svariate motivazioni (riprese da contestazioni giunte da differenti uffici territoriali): assenza della figura dell’amministratore, obbligo di acquisto del veicolo in capo all’associazione, differente regime di deduzione rispetto alle regole limitative dell’articolo 164 del TUIR, ecc.;

– dall’altro, coloro i quali sostengono, come noi, la deducibilità di tali erogazioni a condizione che le medesime siano inerenti e documentate, semplicemente per il fatto che solo questi due sono i requisiti previsti dall’articolo 54 del TUIR.

Siamo oggi in grado di fornire un approdo concreto (per quanto il medesimo possa ritenersi un valido termine di paragone), avendo dinnanzi a noi un atto di adesione firmato per una vicenda analoga a quella sopra descritta.

La vicenda attiene due professionisti tecnici, organizzati in studio associato, che utilizzano i propri mezzi per recarsi presso i cantieri sparsi nell’intera provincia nella quale operano. A seguito di richiesta di dettagli delle voci più significative del quadro RE del modello Unico, l’ufficio aveva inizialmente contestato la deducibilità di tali somme, argomentando in merito all’esistenza di una sorta di obbligo di acquisto dei veicoli in capo all’associazione professionale.

Poiché, come evidente, tale obbligo non sussiste ancora (per fortuna!) si è impostata la propria difesa in contraddittorio sostenendo:

  1. l’esistenza di piena inerenza delle spese rispetto all’attività, con dovizia di documentazione di ciascun viaggio, posto in stretta correlazione con le pratiche svolte e con le parcelle emesse;
  2. assenza di qualsiasi limitazione oggettiva alla deduzione del costo;
  3. utilizzo, a titolo prudenziale, delle tariffe ACI prescritte dall’articolo 95 del TUIR, se pur tale norma non sarebbe evidentemente applicabile nella determinazione del reddito di lavoro autonomo.

Ebbene, tale approccio è stato vincente ed ha convinto il funzionario, posto che, nelle motivazioni dell’atto, testualmente si afferma che l’ufficio riconosce che la natura delle spese in questione è inerente rispetto all’attività svolta dal contribuente, e che quindi le stesse son deducibili nell’ambito delle norme previste dal combinato disposto degli articoli 54 e 95 comma 3 del TUIR. Gli amministratori dello studio associato sono anche amministratori dello stesso …, e non svolgono un’autonoma attività di lavoro autonomo, non essendo peraltro titolari di partita IVA. Lo studio professionale, in relazione alle diverse trasferte effettuate dai soci, ha prodotto documentazione che attesta la destinazione degli associati – amministratori dello studio, l’attività lavorativa ivi svolta, le dichiarazioni dei committenti dei lavori che attestano la presenza sul cantiere dei professionisti, le fatture emesse in relazione alle prestazioni effettuate.

Ora, qui ci trovavamo dinnanzi ad un caso davvero singolare, nel quale è stato possibile (per la accuratezza del collega che seguiva la pratica e la estrema precisione dei contribuenti) ricostruire in modo “maniacale” i viaggi e ricollegarli con le prestazioni rese.

Certo, potrebbe bastare anche meno, ma qualche supporto ed incrocio ci deve pur essere nella documentazione conservata.

Quindi è passato il principio della deduzione della spesa in quanto inerente, anche se contaminato da un inopportuno riferimento all’articolo 95 del TUIR che, si ripete, a nostro giudizio nulla centra con la vicenda in analisi.

Così, ove mai esistesse un associato dello studio che non sia amministratore:


– anche lui avrà il pieno diritto al rimborso chilometrico;


– l’erogazione continuerà ad essere deducibile sempre che la spesa sia inerente e documentata.    

Poi, si sa, qualche cosa bisogna lasciare sul tappeto, come quando si vince alla roulette e si lascia la fiche per evitare la “maledizione” del tavolo da gioco.

Nello specifico, si è questionato sulla misura dei rimborsi, in relazione alla tariffe ACI utilizzate (ed ancora una volta, si ripete sino allo sfinimento che il parametro non sarebbe automatico); al riguardo, pare opportuno rammentare che, nella scelta della tariffa da utilizzare si deve avere riferimento all’intera percorrenza annua del veicolo, anche se non tutti i chilometri sono percorsi per causa di lavoro e, per conseguenza, vengono riaddebitati allo studio associato.

Il riferimento alla percorrenza serve, ovviamente, a tenere conto di due circostanze:

– da un lato, la possibilità di spalmare in misura maggiore taluni costi fissi di gestione del veicolo;


– dall’altro, la considerazione delle spese di usura e manutenzione del mezzo, ovviamente rapportate alla percorrenza effettuata.

Quindi, speriamo che il caso analizzato possa finalmente consentire a tutti di mettere una pietra sopra la vicenda dei rimborsi chilometrici degli studi associati, con il monito che si intende ripetere in merito alla necessaria documentazione da conservare a giustificativo della deduzione.