Anche un’associazione che svolge in via principale attività commerciale può erogare compensi per attività sportive dilettantistiche
di Guido MartinelliMarta Saccaro
Constatiamo con un certo rammarico che, con il passare del tempo, le sentenze che riguardano questioni di carattere tributario in cui sono protagonisti soggetti sportivi dilettantistici invece di migliorare sotto il profilo della chiarezza e dell’approfondimento troppo spesso risultano sbrigative e superficiali e sembrano scritte solo per compiacere una certa corrente di pensiero che vede nei sodalizi sportivi i nemici della legalità tout court (a prescindere, quindi, da un’approfondita e dettagliata analisi delle circostanze specifiche).
E’ il caso, ad esempio, analizzato dalla sezione tributaria della Corte di Cassazione nella sentenza n. 6370 del 19 marzo 2014 con il quale è stato rigettato il ricorso di una palestra costituita come associazione sportiva dilettantistica cui è stata contestata l’omessa effettuazione delle ritenute sulle somme corrisposte ai propri “collaboratori”. In realtà il sodalizio, affiliato ad un ente di promozione sportiva, aveva corrisposto compensi per prestazioni sportive dilettantistiche di cui all’art. 67, comma 1, lett. m) del TUIR, non soggetti a ritenute fiscali se di importo inferiore a 7.500,00 euro all’anno per percipiente (all’epoca dei fatti in contestazione il limite di “franchigia” fiscale era di 10 milioni di lire).
Sull’argomento la Cassazione è sbrigativa nell’affermare che la palestra svolge attività commerciale e che quindi ad essa non può essere applicata alcuna delle agevolazioni previste per le associazioni sportive dilettantistiche.
Dal testo della sentenza non emergono con chiarezza gli elementi portati dall’associazione a difesa della propria posizione e non avendo cognizione esatta delle circostanze specifiche relative al caso in questione non possiamo esprimere alcun giudizio in proposito. Ci limitiamo però ad osservare che la Suprema Corte sembra avere trascurato in maniera eclatante due disposizioni che stanno alla base della disciplina relativa alle associazioni sportive dilettantistiche. Ci riferiamo, in primo luogo, al disposto dell’ultimo comma dell’art. 149 del TUIR secondo il quale alle associazioni sportive dilettantistiche non si applicano le disposizioni relative alla perdita di qualifica di ente non commerciale. Grazie a questa disposizione, quindi, i sodalizi sportivi dilettantistici mantengono in ogni caso la propria natura di ente non commerciale anche qualora dovessero svolgere attività commerciale in via prevalente. E ciò vale, a maggior ragione, anche in sede di verifica fiscale, qualora beninteso l’ente si configuri correttamente come “sportivo dilettantistico” (e, cioè, abbia lo statuto conforme a quanto previsto dall’art. 90 della L. n. 289/2002, risulti affiliato al Coni, anche per il tramite di Federazioni o Discipline Associate ed Enti di promozione sportiva e sia iscritto nell’apposito registro tenuto dal Coni). La verifica di questi presupposti è l’unica che deve essere fatta per valutare se l’ente possa a buon diritto definirsi “sportivo dilettantistico” e applicare conseguentemente le agevolazioni fiscali previste per questi soggetti. Di questa verifica, però, non c’è traccia nella sentenza in commento che, per questo motivo, non appare condivisibile.
Analogamente è necessario ricordare che la possibilità di riconoscere compensi per attività sportive dilettantistiche è consentita dalla lettera m) del comma 1 dell’art. 67 del TUIR esclusivamente al Coni, alle Federazioni sportive nazionali, all’UNIRE, agli enti di promozione sportiva e – soprattutto – a “qualunque organismo, comunque denominato, che persegue finalità sportive dilettantistiche e che da essi sia riconosciuto”. Come si può ben vedere, la disposizione non prevede alcuna valutazione preventiva circa la natura commerciale o meno del soggetto titolato ad erogare i citati emolumenti, essendo sufficiente solo la qualifica di ente sportivo dilettantistico (del resto anche le società di capitali e le cooperative sportive dilettantistiche possono corrispondere questo tipo di somme). Anche in questo caso, invece, la sentenza non approfondisce la qualifica del soggetto limitandosi ad un giudizio tranchant basato, a tutta evidenza, più su un preconcetto che su di un’analisi effettiva e puntuale delle norme.
Sicuramente non è di sentenze di questo tipo che ha bisogno il mondo dello sport dilettantistico. In questo periodo di continui controlli e verifiche sulla attività svolta dagli enti sportivi dilettantistici è più che mai fondamentale che il giudice tributario costituisca un punto di riferimento affidabile al quale rivolgersi per ottenere chiarezza nell’applicazione delle regole. In questo caso si è invece a nostro giudizio persa una buona occasione.