Ancora dubbi applicativi sul nuovo reverse charge
di Giovanni ValcarenghiPaolo NoventaL’apertura dell’anno 2015 è stata caratterizzata dal “tormentone” della inversione contabile di cui all’articolo 17, comma 6, lettera a-ter) del DPR 633/1972; sono passati pochi mesi e l’attenzione sul tema sembra essere scemata, anche se non possiamo certo dire che sono stati risolti tutti i problemi.
Negli studi ci sono ancora le posizioni “incagliate”, in merito alle quali si assiste ad uno scontro frontale tra due operatori: l’uno ritiene corretta l’applicazione dell’IVA, l’altro tifa, invece, per l’inversione. Si tratta di vicoli ciechi dai quali non si esce facilmente.
Una questione che sembra ancora dubbia attiene alla verifica del requisito che la prestazione sia resa (o, per meglio dire, relativa) ad edifici. L’Agenzia delle entrate ha confermato che deve ritenersi edificio “un sistema costituito dalle strutture edilizie esterne che delimitano uno spazio di volume definito, dalle strutture interne che ripartiscono detto volume e da tutti gli impianti e dispositivi tecnologici che si trovano stabilmente al suo interno; la superficie esterna che delimita un edificio può confinare con tutti o alcuni di questi elementi: l’ambiente esterno, il terreno, altri edifici; il termine può riferirsi a un intero edificio ovvero a parti di edificio progettate o ristrutturate per essere utilizzate come unità immobiliari a sé stanti”.
Dunque, vi rientrano sia i fabbricati ad uso abitativo che quelli strumentali (nuovi o vecchi che siano), le loro parti, gli edifici in corso di costruzione e le unità in corso di definizione.
Non rientrano nella definizione, invece, i terreni, le parti del suolo, i parcheggi, le piscine, i giardini, etc., salvo che questi non costituiscano un elemento integrante dell’edificio stesso (ad esempio, piscine collocate sui terrazzi, giardini pensili, impianti fotovoltaici collocati sui tetti, etc.).
Se, dal punto di vista teorico, sembra tutto facile, l’operatività quotidiana offre situazioni certamente eterogenee, quali quelle di prestazioni “unitarie” che interessano due porzioni non omogenee; si è proposto più volte il caso dell’imbianchino chiamato (ovviamente da un committente operatore IVA) a tinteggiare un palazzo, completo del muro di cinta del giardino. Perplessità analoghe riguardano il rifacimento dell’impianto elettrico o idraulico, non solo per la parte collocata in un capannone industriale, ma anche per la quota che collega l’impianto alla rete pubblica.
Confindustria, in tali ipotesi, ha proposto l’applicazione del principio di accessorietà, sostenendo che l’operazione accessoria deve scontare il medesimo trattamento IVA della principale cui risulta connessa, ma solo nel caso in cui la medesima sia indispensabile per la concretizzazione della principale.
Tornando agli esempi di prima, si dovrebbe concludere che la tinteggiatura del muro di cinta non risulta strumentale a quella del palazzo, quindi occorre separare le quote di imponibile; diversamente, poiché senza l’allacciamento alla rete pubblica l’impianto elettrico o idraulico non può funzionare, l’intero corrispettivo sconterà il regime della inversione contabile.
Il criterio è buono ed anche logico, anche se rappresenta pur sempre l’esercizio di un discrimine non sempre facile da comprendere ed applicale per un piccolo artigiano.
Una seconda problematica attiene gli interventi effettuati in particolari situazioni, partendo dal presupposto che la circolare delle Entrate ha precisato che il meccanismo del reverse charge non si applica alle prestazioni di servizi di pulizia, installazione di impianti e demolizione relative a beni mobili di ogni tipo.
Se evochiamo l’intervento di un tecnico su impianti di refrigerazione degli alimenti (celle frigorifere), saldamente ancorate al fabbricato, già sorge un dubbio: si tratta di bene mobile o immobile?
Sempre nel settore, allargando l’analisi, analoga situazione si verificherebbe nel caso degli interventi dei motori dei banchi frigoriferi tipicamente utilizzati dalla grande distribuzione per la esposizione dei prodotti.
Infatti, anche in questo caso ci sono delle parti di questi impianti che, in qualche modo, risultano ancorate al fabbricato, per esigenze di sicurezza, per abitudine, per comodità o necessità.
Che fare allora? Si tratta di un intervento su un bene mobile (banco frigorifero e relativo motore con tanto di tubazioni di collegamento), oppure siamo dinnanzi ad un impianto di un edificio?
Nel primo caso si applicherebbe l’IVA, nel secondo il reverse.
E, se qualcuno volesse fare il pignolo, vi è forse da distinguere se l’intervento riguarda la parte di impianto ancorato piuttosto che il banco frigorifero?
A noi sembra che si debba adottare una soluzione di buon senso, affermando che si tratta di intervento su bene mobile.
Se l’esigenza non è quella di ottenere freddo, bensì quella di comunicare non stiamo certo messi meglio.
L’impianto telefonico, come si innesta in un tale ragionamento?
Se guardiamo al centralino, si dovrebbe trattare di un bene mobile, ma se ci spingiamo a guardare la cablatura dell’edificio, cui si appoggia il centralino, forse stiamo parlando di un impianto.
Rileva forse il fatto che l’intervento sia curato da un solo soggetto in un unico istante? Se si sta stendendo solo la cablatura (anche quella di supporto alla comunicazione), si dovrebbe rientrare nel caso del reverse.
Diversamente, se per il miglior funzionamento della centralina vengono sostituiti alcuni cavi, trattasi di operazione accessoria a quella del centralino, oppure vi è la necessità di distinguere il corrispettivo in più quote?
Come si vede, dunque, senza ipotizzare ipotesi fantascientifiche, a distanza di quasi sette mesi dall’avvio del regime si naviga ancora a vista.
L’unica consolazione è che, in ipotesi come quelle prospettate, sembra davvero improbabile che l’amministrazione possa applicare sanzioni, data la situazione di incertezza in cui si stanno ancora oggi muovendo gli operatori.
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