Ancora dubbi sui raccoglitori occasionali di tartufi
di Alberto RocchiLuigi ScappiniA distanza di più di un anno dall’introduzione di una profonda riforma del settore del tartufo, manca ancora un documento organico che affronti in maniera sistematica la disciplina, e, soprattutto, sciolga alcuni dei dubbi che tutt’ora sussistono. La consulenza giuridica n. 956-11/2019, offerta in risposta all’istanza di un’associazione di categoria, aiuta solo parzialmente.
Come noto, con il comma 692 dell’articolo 1 L. 145/2018 (la cd. Legge di bilancio 2019), è stato introdotto un nuovo regime di tassazione diretta per lo svolgimento, in via occasionale, dell’attività di raccolta, effettuata da persone fisiche
- di prodotti selvatici non legnosi di cui alla classe ATECO 02.30 (funghi, tartufi, bacche, frutta in guscio, balata e altre gomme simili al caucciù, sughero, gommalacca e resine, balsami, crine vegetale, crine marino, ghiande, frutti dell’ippocastano, muschi e licheni);
- piante officinali spontanee di cui al D.Lgs. 75/2018 per le quali, a oggi, siamo ancora in attesa dell’emanazione del decreto delegato a individuarle.
Il successivo comma 694 dell’articolo 1 L. 145/2018, si occupa di individuare un parametro univoco per definire il concetto di occasionalità, stabilendo che si considerano raccoglitori occasionali coloro che conseguono dalla cessione dei prodotti corrispettivi non superiori a 7mila euro annui.
Al rispetto di tale limite il comma 692 prevede l’assoggettamento a un’imposta sostitutiva che il successivo comma 693 individua in 100 euro annui.
Tale regime soggiace al requisito aggiuntivo per cui il raccoglitore deve essere in possesso del titolo per la raccolta di uno o più prodotti rilasciato dalla competente Regione o ente subordinato.
A tal fine, la consulenza giuridica n. 956-11/2019 chiarisce che, in caso di abilitazione in corso d’anno, il regime è fruibile dallo stesso anno, mentre il versamento della relativa imposta sostitutiva avverrà entro il 16 febbraio dell’anno seguente; inoltre, l’omesso o tardivo versamento di tale imposta, comporta l’applicazione della sanzione nella misura del 30% ai sensi dell’articolo 13 D.Lgs. 471/1997.
La violazione, inoltre, può essere regolarizzata azionando il ravvedimento operoso.
L’Agenzia delle entrate, con la consulenza giuridica, precisa che lo splafonamento del limite dei 7.000 euro annui determina il venir meno del requisito dell’occasionalità. Resta tuttavia senza risposta la domanda fondamentale: è legittima una norma che prevede una presunzione assoluta di occasionalità? Ci sarebbe infatti molto da discutere sulla compatibilità della presunzione con la norma che già regolamenta in modo compiuto la materia: quella dell’articolo 55 Tuir che, a prescindere dalle differenze settoriali, stabilisce le caratteristiche che deve avere qualsiasi attività per considerarsi produttiva di reddito d’impresa (e cioè abitualità e professionalità) ovvero, a contrario, occasionale.
Ancora più contraddittoria è la correlata disciplina Iva.
Ai fini Iva, con l’aggiunta di un articolo 34-ter nel D.P.R. 633/1972, viene introdotto un particolare regime a beneficio degli stessi soggetti destinatari della norma sull’imposta sostitutiva di euro 100: i raccoglitori occasionali di prodotti selvatici non legnosi di cui alla classe ATECO 02.30 e i raccoglitori occasionali di piante officinali spontanee. Questi soggetti, nel limite di 7.000,00 euro di volume d’affari, sono esonerati dal versamento dell’imposta e da tutti gli obblighi documentali e contabili, compresa la dichiarazione Iva.
Il problema nasce dal fatto che, presupposto per la rilevanza Iva delle operazioni è che le stesse siano effettuate alternativamente, nell’esercizio di imprese arti o professioni, fattispecie che nel caso della raccolta occasionale non è riscontrabile. Una contraddizione che si fa fatica a giustificare.
Ma oltre a questo, ci si deve interrogare su altri due aspetti dirimenti, primi fra tutti le modalità con cui monitorare e avere contezza dell’effettivo volume generato dai raccoglitori occasionali.
In particolare, nel caso di soggetto che opera non in qualità di imprenditore ma fruisce dell’applicazione della ritenuta a titolo di imposta sul 78% del corrispettivo percepito, il monitoraggio potrà essere effettuato tramite la verifica dei modelli 770 inviati dall’acquirente.
Nella differente ipotesi di assolvimento dell’imposta sostitutiva pari a 100 euro in quanto soggetto che genera corrispettivi nel limite di 7.000 euro annui, non dovendo l’acquirente emettere la CU, la verifica del rispetto del plafond non potrà che essere fatta incrociando i dati a disposizione dell’Agenzia delle entrate.
Infatti, ai sensi del comma 697 dell’articolo 1 L. 145/2018, è previsto che l’acquisto da tali raccoglitori occasionali, effettuato a cura di soggetti passivi Iva, comporta che questi ultimi procedano all’emissione di un documento da cui risulti la data di cessione, i dati del cedente comprensivi di codice fiscale e codice ricevuta del versamento dell’imposta sostitutiva, natura e quantità del prodotto oggetto di transazione e ammontare del corrispettivo pattuito.
Tale previsione sostituisce il venir meno dell’obbligo di emissione di autofattura che era previsto dall’articolo 1, comma 109, L. 311/2004 (la Finanziaria per il 2005), dovuto a una corretta procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea, in quanto la cessione di tartufi effettuata da raccoglitori occasionali non soggetti Iva non può generare un’operazione rientrante nel campo Iva.
In realtà sembra che il Legislatore caschi nuovamente nel tranello inserendo il nuovo articolo 34-ter nel D.P.R. 633/1973, a meno che l’articolo non debba essere letto in esclusivo riferimento ai soggetti rilevanti ai fini Iva ma ciò contrasterebbe, come sopra evidenziato, con l’occasionalità e non sistematicità delle operazioni.
A evidenziare la difficoltà di trovare un filo logico nel nuovo sistema introdotto, depone la stessa consulenza giuridica n. 956-11/2019 nel momento in cui non definisce in maniera tranchant la natura del documento previsto dal comma 697, limitandosi ad affermare il venir meno (ma su questo non vi erano dubbi) del precedente regime che prevedeva l’emissione dell’autofattura, ergo il documento non dovrebbe aver tali caratteristiche nonostante i dati in esso contenuti debbano essere inclusi nello spesometro.