Ancora elusiva la trasformazione della Spa agricola?
di Luigi ScappiniAnche recentemente ci siamo occupati di società agricole, intendendo con tale termine quelle di cui all’articolo 2 del D.Lgs. n. 99/2004 ma, a bene vedere, non esiste una vera società agricola, o per meglio dire una forma ad hoc, individuata dal nostro Legislatore per contraddistinguere l’esercizio dell’agricoltura in forma associata.
Infatti lo stesso articolo 2 richiamato, rubricato “Società agricole”, di fatto non definisce compiutamente quali esse siano, dovendosi determinare una definizione a ritroso o per meglio dire per difetto, ma soprattutto compiono un peccato non di poco conto, collegando la forma societaria all’attività svolta e non il contrario.
In altri termini, si ha società agricola in funzione di ciò che si svolge e non, al contrario come era auspicabile, in ragione dell’attività esercitata è prevista una specifica forma societaria codificata.
E non vale l’affermazione per cui la forma più elementare di società, quella semplice, svolge appieno il proprio compito; infatti, la sua semplicità e, al contempo, la complessità di certe strutture operanti nel mondo agricolo (si pensi ad esempio al settore vitivinicolo) mal si sposano.
Tuttavia, la scelta o il passaggio alla società semplice spesso rappresenta un’opzione più che ragionevole e consigliabile se si ha riguardo agli aspetti squisitamente fiscali del mondo agricolo che si contraddistinguono per la loro mutevolezza.
Per meglio comprendere questa affermazione è necessario delineare il quadro di riferimento della tassazione del mondo agricolo, a partire da quanto prevedeva il DPR n. 597/1973 secondo cui la determinazione del reddito su base catastale (ma siamo sicuri che sia sempre un vantaggio?) per le attività agricole competeva in ragione delle caratteristiche oggettive dell’attività e non per quelle soggettive. In altri termini, come del resto avviene per quanto riguarda l’applicazione del regime speciale Iva di cui all’articolo 34 del DPR n. 633/1972, si aveva riguardo all’attività esercitata e non alla forma con cui la si esercita.
Con i primi anni ’90 si è assistito all’attrazione nel reddito di impresa delle società di capitali esercenti attività agricola, percorso concluso con la legge n. 662/1996 che ha chiuso il cerchio annettendovi anche le Snc e le Sas.
Con i primi anni del nuovo millennio si è assistito a un rilancio della determinazione del reddito nel comparto agricolo in via forfettizzata, attraverso le previsioni di cui agli articoli 56, comma 5 Tuir, in tema di allevamento di animali oltre i limiti di cui all’articolo 32 Tuir, e 56-bis, sempre Tuir, in tema di produzione di vegetali oltre i limiti sempre dell’articolo 32 nonché di prestazioni di servizi e attività connesse di manipolazione, trasformazione, commercializzazione, conservazione e valorizzazione di prodotti non ricompresi nel D.M. 13 febbraio 2015.
A tali regimi, tutt’ora, non hanno accesso le forme societarie, vuoi per espressa previsione normativa, come nel caso delle attività disciplinate dall’articolo 56-bis (cfr. il comma 4), vuoi per mancato rimando, come nel caso dell’allevamento eccedente i limiti; diversamente, la tassazione su base catastale è stata resa opzionabile, a mezzo della Finanziaria per il 2007, per le società agricole come definite dall’articolo 2 del D.Lgs. n. 99/2004 richiamato.
Attenzione però, perché tale possibilità non è concessa alle Spa e alle Sapa.
Per tali forme societarie è preclusa anche la possibilità di procedere a una trasformazione in Srl o società di persone in quanto l’operazione, come affermato dall’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 177/E/2008, si connota per l’elusività.
A supporto di tale interpretazione l’Agenzia delle Entrate ha addotto, da un lato, la ratio stessa della norma, riscontrabile nella stessa relazione di accompagnamento ove si legge che “Come emerge dai lavori parlamentari (ad es. resoconto di lunedì 18 dicembre 2006 della VI commissione) la nuova disposizione è volta a favorire lo sviluppo della forma societaria in agricoltura. Per questa ragione essa non si dirige alle società per azioni rispetto alle quali il legislatore ha inteso mantenere il sistema classico di tassazione in base al bilancio”, e dall’altro, dal successivo articolo 6 del D.L. n. 213/2007 dove viene stabilito che le società aventi, alla data di entrata in vigore del decreto stesso, i requisiti sostanziali di cui all’articolo 2 del D.Lgs. n. 99/2004 possono optare per il nuovo regime impositivo se si adeguano anche ai requisiti formali. E, secondo il pensiero dell’Agenzia, il solo richiamo ai requisiti sostanziali esclude “implicitamente la possibilità di sanare la mancanza del primo requisito richiesto espressamente dall’art. 1 del decreto n. 213 del 27/9/2007 consistente nella necessità che l’opzione venga esercitata dalle società che rivestano la forma giuridica ivi indicata (società di persone, società a responsabilità limitata e società cooperative)”.
Tralasciando l’analisi e la critica di tali affermazioni, quello che qui interessa è comprendere se, alla luce del nuovo articolo 10-bis della L. n. 212/2000, con cui viene delineato il concetto di abuso del diritto, tale trasformazione si caratterizzi ancora per la sua elusività.
Ai sensi del comma 2 dell’articolo richiamato, si considerano operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali, mentre costituiscono vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario.
Ecco che allora, torna di piena attualità – poter rispondere pienamente alla domanda – se la tassazione su base catastale in ragione di quella analitica, quale contrapposizione costi-ricavi, sia sempre vantaggiosa.
A questo si deve aggiungere, in un’eventuale fase difensiva del contribuente, la circostanza che, a norma di legge, non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente.
E qui, torna in auge l’affermazione dell’Agenzia delle Entrate nella richiamata Risoluzione n.177/E/2008 ove si afferma che “Quest’ultima disposizione (l’opzione per il regime catastale n.d.A.) va nella direzione di incentivare la costituzione di società tra imprenditori agricoli e, per questa ragione, non si rivolge alle società per azioni e in accomandita per azioni, le quali, rappresentando la forma più evoluta di società, presentano di regola una struttura più complessa rispetto alle società a responsabilità limitata”.
Questa potrebbe essere una più che valida ragione extrafiscale.
Ma siamo sicuri che nel 2016 si ragionerà ancora sull’opzionabilità per il regime catastale da parte delle società operanti nel mondo agricolo?