Ancora sugli statuti degli enti del terzo settore: l’ammissione dei nuovi soci
di Guido MartinelliMarilisa RogolinoLa rubrica dell’articolo 23 del codice del terzo settore, con la sua indicazione del “carattere aperto” delle associazioni, introduce il principio in forza del quale non potranno esserci enti associativi nel terzo settore che non consentano in modo assoluto l’ammissione di nuovi associati.
Tale concetto appare ribadito all’articolo 35, in tema di associazioni di promozione sociale laddove viene previsto il divieto di introdurre: “discriminazioni di qualsiasi natura in relazione all’ammissione degli associati”
Ma questo condivisibile principio della porta aperta come si concilia con la previsione dell’articolo 21 che prevede in statuto l’obbligo di inserire “i requisiti per l’ammissione dei nuovi associati”?
Già la recente circolare del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti dello scorso mese di aprile (“Per unanime posizione dottrinale, il principio della “porta aperta”, non può tradursi in un vero e proprio diritto soggettivo in capo al terzo che intenda aderire alla compagine e alla vita associativa, ma solo di un interesse legittimo all’osservanza delle norme sostanziali e procedurali di ammissione statutariamente previste”) aveva confermato che il principio della porta aperta non deve necessariamente tradursi nella impossibilità di introdurre filtri all’ingresso di nuovi associati.
Come ha correttamente indicato il Prof. Sepio: “proprio sul carattere non discriminatorio si gioca la partita dovendosi valutare attentamente se i requisiti individuati pongano o meno una ingiustificata restrizione all’accesso”.
Torna a tal fine di attualità la posizione dei minorenni all’interno del vincolo associativo.
La domanda non è se il minore possa essere ammesso tra gli associati o se possa giovarsi del “sistema a porta aperta” di cui all’articolo 23 cts.
È eloquente più di mille risposte il diritto interno e sopranazionale.
È significativo, infatti, l’articolo 15 della Convenzione internazionale sui Diritti del Fanciullo, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata dall’Italia con L. 176/1991, il quale richiama i diritti del fanciullo alla libertà di associazione ed alla libertà di riunirsi pacificamente, nonché l’articolo 12 sulla libertà di opinione da prendere in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità.
La Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea del 2000 riproduce il principio di libertà di espressione del minore. Il minore ed il maggiore di età sono egualmente titolari di diritti civili.
Il minore, quale individuo dotato di capacità giuridica, è titolare del diritto di associazione esercitabile secondo quanto previsto dalla legislazione nazionale (cfr. articolo 12 Convenzione internazionale Diritti del Fanciullo).
La questione è se il diritto del minore possa subire i limiti correlati alla tutela del preminente interesse di corretto, equilibrato sviluppo psico fisico del minore e sulla espressione della soggettività di diritto ovvero sull’esercizio di ogni diritto inerente alla condizione di associato.
Il rispetto delle libertà costituzionali del minore esige che non vengano previsti limiti all’ammissione; ma se l’ingresso non può essere precluso al minore non va esclusa la considerazione dell’età dell’associando quale elemento di riferimento per valutare l’opportunità o la necessità dell’esercizio congiunto della responsabilità genitoriale fino alla autorizzazione da parte del giudice tutelare.
Si considerino particolari tipologie di attività associative incentrate sulla preparazione e pratiche che presuppongano il completamento del ciclo educativo e formativo e che in ipotesi possano creare disordini emotivi devianti dal progetto di crescita del minore e dall’obiettivo di perseguimento del suo interesse.
Esigenze di protezione del minore, di attenzione alla sua personalità ed al corrispondente grado di maturità impongono il vaglio tutorio a garanzia del rispetto delle inclinazioni del minore nell’esercizio delle libertà costituzionali.
Non si dimentichi che anche gli interessi non patrimoniali del minore sono suscettibili di subire un pregiudizio.
L’ente può condizionare l’ammissione stabilendone i requisiti, le condizioni e fissando la relativa procedura, secondo criteri non discriminatori, coerenti con le finalità perseguite e l’attività di interesse generale svolta.
Analogamente, la predeterminazione può riguardare indici categoriali qualora si tratti di associazione di categoria, senza ragionevolmente rischiare l’azione antidiscriminatoria; deve riferirsi a particolari requisiti per i componenti dell’organo di controllo ex articolo 30 c.t.s., i cui componenti devono essere scelti fra gli iscritti negli albi professionali o fra i professori universitari di ruolo, in materie economiche o giuridiche (articolo 2397 cod. civ.), ma questi sono argomenti extra ordinem.
La discussione si sposta sull’esercizio del diritto di associarsi da parte del minore.
Esso esercizio principia con la domanda di ingresso.
È atto negoziale la dichiarazione di volontà di associarsi a cui l’ordinamento giuridico ricollega effetti conformi al risultato voluto; è atto di ordinaria amministrazione che però deve essere compiuto, in presenza di minorenni, congiuntamente dai genitori (cfr. articolo 320, comma 1, cod. civ.) essendo collegato a scelte educative da assumere di comune accordo sulla scorta di una valutazione congiunta delle inclinazioni e delle potenzialità del minore; a fortiori è necessaria l’autorizzazione dal giudice tutelare ex articolo 322 cod. civ. qualora dalla decisione da assumere possano derivare effetti pregiudizievoli, patrimoniali e non, al minore.
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