15 Febbraio 2016

Ancora sulla crisi di gruppo: Cassazione n. 20559/15 vs n. 1095/16

di Marco Capra
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Su Euroconference NEWS ci siamo più volte occupati della crisi di gruppo, rimarcando l’assenza di una specifica disciplina.

Il Lettore ricorderà, in particolare, il commento alla Corte di Cassazione, 1^ sez. civ., sentenza n. 20559/15 depositata il 13 ottobre 2015.

Ricordiamo le principali coordinate della vicenda.

Alcune società di capitali hanno conferito i propri complessi aziendali a favore di una società in nome collettivo (costituita ad hoc), ricevendo in cambio una partecipazione al capitale sociale della stessa e divenendone soci illimitatamente responsabili, allo scopo di presentare un ricorso per concordato preventivo per conseguire la conservazione e la continuità delle imprese, sotto condizione risolutiva rappresentata dalla mancata definitiva omologazione del concordato.

La Cassazione ha giudicato severamente l’operazione, ritenendo:

  1. preliminarmente “che il giudizio non avrebbe potuto essere proposto, atteso che l’ordinamento giuridico italiano, allo stato attuale della legislazione, non contempla il c.d. concordato preventivo di gruppo”;
  2. che l’operazione ha inammissibilmente attratto tutte le società alla competenza del Tribunale in ragione della sede della s.n.c., in violazione dell’art. 161, c.1, l.f. (che non prevede deroghe alla competenza territoriale);
  3. che “il concordato preventivo avrebbe dovuto riguardare individualmente le singole società del gruppo, non la società personale e le società di quella socie, non ammettendosi un unico giudizio omologatorio”;
  4. che “il concordato preventivo della società non si estende ai soci illimitatamente responsabili, i quali beneficiano solo dell’effetto esdebitatorio, ai sensi dell’art. 184, 2° comma, l.f., inoltre unicamente per i debiti sociali, non per quelli personali di ciascuno di essi”;
  5. che in presenza di un concordato di diverse società, occorre tenere distinte le masse attive e passive, che conservano la loro autonomia giuridica, mentre gli attuati conferimenti hanno confuso i patrimoni, con l’effetto che i creditori delle società più capienti hanno concorso, inammissibilmente, con quelli delle società meno capienti;
  6. che le maggioranze per l’approvazione del concordato avrebbero dovuto essere calcolate in riferimento alle singole società.

La pronuncia della Suprema Corte non è però unanimamente condivisa.

Il Tribunale di Teramo lo scorso 5 gennaio ha omologato il concordato di un gruppo – derivante da un’operazione di conferimento in s.a.s. analoga a quella esaminata dalla Cassazione – ritenendolo ammissibile sul presupposto che le attività e le passività di ogni singola impresa del gruppo erano state tenute distinte, così da consentire la verifica della posizione di ogni creditore e l’impatto della proposta sul soddisfacimento di ciascuno.NSel caso, peraltro, le società proponenti avevano sede nel circondario dello stesso Tribunale.

Più recentemente, una nuova pronuncia della Suprema Corte ha aggiunto materia di riflessione.

La Corte di Cassazione, 1^ sez. civ., con la sentenza n. 1095/16 depositata il 21 gennaio 2016, ha ribadito la fallibilità di società di capitali che siano socie di una società di fatto.

La decisione è assai articolata ed interviene su profili delicati e dibattuti.

Il punto centrale è che la partecipazione di una s.r.l. in una società di persone, anche di fatto, non esige il rispetto dell’art. 2361 c. 2 c.c., costituendo un atto dell’organo amministrativo che non richiede la preventiva autorizzazione dei soci. L’assunzione della partecipazione determina, quindi, tutte le implicazioni conseguenti, compreso il possibile fallimento.

Ai fini che qui interessano, la Cassazione ha così deciso: “Accertata l’esistenza di una società di fatto e la sua insolvenza, i soci possono essere dichiarati falliti in estensione, ai sensi dell’art. 147, 1° comma, L. f. La norma, nel testo derivante dal D.Lgs. n. 5 del 2006, è coerente con la disciplina della riforma societaria, operando un riferimento al capo III del titolo V del libro V del codice civile, ivi compreso l’art. 2297 c.c. sulla società in nome collettivo irregolare, strutturalmente analoga alla società di fatto esercente attività d’impresa commerciale. Si tratta del fallimento ex lege – in estensione di quello della società di fatto, che invece va accertata nei suoi elementi costitutivi e nello status di soggetto imprenditore insolvente – dei soci illimitatamente responsabili, che non richiede l’accertamento diretto anche della loro insolvenza, ma unicamente della loro qualità di soci”.

A questo punto, c’è da chiedersi se una lettura costituzionalmente orientata della legge fallimentare non induca a ritenere che il gruppo, così come può fallire, può anche essere risanato con il concordato preventivo.

Anche sotto questo profilo, si confida che il Legislatore si interessi al fenomeno: l’occasione è data dal progetto di riforma della legge fallimentare, approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 11 febbraio 2016.