Ancora sulla disciplina Iva applicabile ai corsi sportivi
di Guido MartinelliGià avevamo affrontato il tema della disciplina iva applicabile ai corrispettivi riscossi da associazioni e società sportive dilettantistiche (all’epoca necessariamente non lucrative) per l’erogazione di servizi sportivi (Le quote dei corsi sportivi: esenti o escluse da Iva – Parte I° e II°).
Dobbiamo tornare oggi sul tema alla luce di due pronunciamenti giurisprudenziali che hanno confermato il contenuto di quanto allora riportato ma che sembra essere, stante i contenziosi in esame, ancora oggetto di incertezze interpretative.
In sintesi, il nostro ordinamento, all’articolo 10, comma 1, n. 20, D.P.R. 633/1972, ha previsto l’esenzione dall’Iva per “le prestazioni educative dell’infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere, anche per la formazione, l’aggiornamento, la riqualificazione e riconversione professionale, rese da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da Onlus (…)”.
La citata disposizione subordina il beneficio dell’esenzione al verificarsi dei seguenti presupposti, uno di carattere oggettivo e l’altro soggettivo:
- le prestazioni devono essere di natura educativa dell’infanzia e della gioventù o didattica;
- le prestazioni in argomento devono essere rese da istituti o scuole riconosciute da pubbliche amministrazioni.
Il legislatore ha voluto riconoscere l’esenzione Iva non a tutti i soggetti che svolgono attività didattica, ma esclusivamente a quei soggetti che, sulla base dei requisiti posseduti (quali l’idoneità professionale dei docenti, l’efficienza delle strutture e del materiale didattico, ecc.), sono in grado di offrire prestazioni didattiche aventi finalità simili a quelle erogate dagli organismi di diritto pubblico.
In passato la prassi amministrativa era stata costante nel ritenere che le Federazioni sportive, in quanto organismi di diritto pubblico (vedi, tra le ultime, TAR Lazio, Sez. I ter, sentenza n. 4100 del 13.04.2018) fossero deputate a riconoscere espressamente le “scuole di sport” delle proprie associazioni e società affiliate così riconoscendo loro la possibilità di applicare la citata disciplina di esenzione Iva (risoluzione 525996/1973; risoluzione 361488/1977; risoluzione 362614/1977; risoluzione 360751/1978; risoluzione 361426/1978; risoluzione 551/1993; risoluzione 205/E/2002. risoluzione 382/E/2008).
Tutto quanto premesso, soffermiamoci quindi sul primo dei due richiamati chiarimenti giurisprudenziali.
La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 12698 del 19.05.2017, per quanto di interesse ai fini della nostra analisi, ha affermato, richiamando un precedente principio (sentenza n. 8623 del 30/05/2012) che: “i compensi percepiti da una associazione sportiva a fronte dell’attività didattica svolta sono esenti da Iva soltanto se tale attività è stata formalmente riconosciuta dagli organi della P.A. competenti nel settore, oppure da organismi da essa vigilati come le Federazioni sportive”.
A questo punto, la possibilità per le associazioni e società sportive dilettantistiche (in quest’ultimo caso, una volta che siano a regime, si ritiene sia per le lucrative che per le non), di beneficiare dell’esenzione Iva dovrebbe apparire pacifica, anche per il conforme orientamento assunto a livello comunitario (basti fare riferimento, in materia, alla posizione assunta dall’Avvocato generale nella causa The English Bridge Union – causa C-90/16 – che ha qualificato l’applicazione della esenzione da iva per i servizi sportivi, laddove sussistano i presupposti di cui all’articolo 132 direttiva 2006/112/CE § 1 lett.) m), come un obbligo per gli stati membri e non una facoltà) .
Così non lo è stato, invece, per l’Agenzia delle entrate di Udine che aveva appellato una decisione della competente commissione provinciale sul presupposto che: “i primi giudici avessero erroneamente interpretato il senso dell’articolo 10 del D.P.R. n. 633/1972 poiché esso, come chiaramente indicato da risoluzioni e direttive della CEE e illustrato da circolari ministeriali, avrebbe avuto un ambito di applicazione molto più ristretto, rivolgendosi a istituti e scuole riconosciute da pubbliche amministrazioni, circostanza non riscontrabile in capo alla società ricorrente”.
Con grande puntualità e precisione il giudice di appello (CTR Trieste, sentenza n. 77 del 27.03.2018) richiamata la giurisprudenza di Cassazione sopra illustrata, dato atto della circostanza non contestata che la contribuente fosse regolarmente affiliata alla Federazione Italiana Nuoto, riconosciuta dal Coni e che avesse regolarmente applicato: “per la determinazione dell’imposta il metodo c.d. pro rata di cui all’articolo 19 comma 5 del d.p.r. 633 del 1972 limitando così l’esenzione di cui usufruisce soltanto all’iva e per l’attività strettamente di promozione ed insegnamento di discipline svolto nell’ambito di quelle seguite dalla Federazione Italiana Nuoto”, ha confermato la sentenza di primo grado e ha condannato l’Ufficio alla rifusione delle spese del giudizio.
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9 Maggio 2018 a 7:37
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