Ancora sulla motivazione dell’avviso di accertamento
di Giovanni ValcarenghiPaolo NoventaLo scorso 9 ottobre 2015 la Cassazione ha depositato la sentenza 20251 avente ad oggetto una controversia tra l’Agenzia delle entrate ed un professionista (nello specifico avvocato), all’interno della quale si torna a parlare della motivazione dell’avviso di accertamento e delle conseguenze che si producono in caso di assenza della medesima all’interno dell’atto con cui il fisco fa valere la pretesa tributaria.
Da quanto è possibile comprendere dal testo della sentenza, le contestazioni (peraltro riferibili a periodi di imposta molto risalenti nel tempo) nascono dal riscontro dell’esistenza di un disallineamento tra la dichiarazione IVA ed il quadro RE del modello Unico del contribuente, unitamente all’esistenza di prelevamenti ingenti non giustificati dal conto corrente.
Se, come è vero, si fatica a comprendere i reali contorni della vicenda, significa che pari confusione aveva caratterizzato gli originari atti dell’amministrazione; proprio da tale punto possiamo partire, per affermare che non risulta sufficiente (per giustificare dal punto di vista giuridico un accertamento) l’esistenza di una situazione palesemente confusa nella posizione del contribuente, ma l’amministrazione deve “sforzarsi” di esercitare con precisione e puntiglio l’esposizione delle ragioni per le quali ritiene fondata l’ipotesi di sottrazione di materia imponibile.
Nello specifico, a fronte della soccombenza in CTP, l’avvocato era riuscito ad ottenere soddisfazione in CTR in quanto l’avviso era stato ritenuto privo di motivazione (con al conseguente necessità di una sua nullità), in quanto l’Ufficio non aveva indicato:
- le ragioni per cui il disallineamento tra posizione IVA e posizione reddituale potesse giustificare una ripresa;
- le ragioni per cui era stato contestato un maggior imponibile in misura pari alle movimentazioni finanziarie non giustificate (versamenti e prelevamenti).
La difesa per Cassazione dell’Agenzia si è fondata sui seguenti elementi:
- la semplice discrasia tra il dichiarato nei comparti IVA e dirette, così come l’esistenza di movimenti non tracciati sui conti rappresenta circostanza di fatto oggettiva;
- tale situazione determina a capo del contribuente l’obbligo di giustificazione (assente nel caso specifico) con la conseguenza che l’onere a carico dell’Ufficio sarebbe stata assolta.
Diversamente, i Giudici ritengono che, nonostante l’articolo 54 del DRP 633/1972 permetta la rettifica della dichiarazione anche per effetto dell’esistenza di “segnalazioni qualificate”, ciò non significa che l’Ufficio sia completamente esonerato dalla indicazione delle fonti del proprio convincimento, del motivo per cui tali circostanze possano logicamente fondare tale sospetto.
In sostanza, nella sentenza non si condivide la tesi della natura meramente processuale della motivazione, con la conseguenza che la medesima avrebbe l’unica funzione di affermare la pretesa tributaria, generando in capo al contribuente l’obbligo di costruire la propria difesa, a condizione che fossero almeno noti gli elementi essenziali per determinare l’an ed il quantum debeatur.
Diversamente, si riscontra che l’articolo 7 dello Statuto del contribuente dispone che l’amministrazione è obbligata ad indicare i presupposti di fatto e di diritto che hanno determinato la costruzione dell’atto, pur se non risulta indispensabile fornire con precisa puntigliosità tutti gli elementi di prova, che possono subentrare anche nel momento della discussione.
Ciò determina che la motivazione attiene all’elemento della sostanza e non a quello della forma dell’atto; non si tratta dunque di una mera provocatio ad opponendum, bensì di un elemento essenziale sulla cui base va definito il thema decidendum e probandum dell’eventuale giudizio di impugnazione.
Si afferma in modo ancor più chiaro che la motivazione deve consentire il controllo interno e giurisdizionale dell’atto, al fine di valutare la correttezza dell’operato dell’amministrazione.
Da ciò quindi deriva la immodificabilità della motivazione nel corso della causa, così come l’invalidità della pretesa tributaria nel caso di assenza della motivazione o di una sua evidente inidoneità.
Al di là di un frequente utilizzo di locuzioni “raffinate” le affermazioni della sentenza ci piaccio e ci paiono basilari per poter concludere che anche l’amministrazione finanziaria (ove mai ve ne fosse dubbio) deve rispettare specifici oneri nel compimento dei propri atti, consentendo al contribuente di poter validamente esercitare il proprio diritto di difesa.
Se così non fosse si finirebbe per sconfinare nell’arbitrio; non basta, dunque, il fiuto del verificatore o la semplice intercettazione di circostanze “sospette” ma bisogna indicare in modo preciso i motivi per cui tali elementi possono ragionevolmente fondare la pretesa tributaria.
Fatta questa fatica in capo all’Agenzia, risulta giustificata anche la fatica che dovrà fare il contribuente per organizzare la propria difesa.