7 Luglio 2015

Ancora sulle modifiche del decreto sulla giustizia civile

di Claudio Ceradini
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Il Decreto sulla Giustizia Civile, come abbiamo già iniziato a raccontare lo scorso martedì, affronta numerosi temi, tra cui alcune modifiche non secondarie alla legge fallimentare, intervenendo su concordato preventivo, fallimento ed accordi di ristrutturazione del debito. Del concordato si è già accennato, e resta una breve riflessione sull’art. 8 del decreto, che modifica l’art. 169bis L.F., e cioè la norma introdotta tre anni fa dall’art. 33, co. 1, lett. d) del D.L. 83/2012 (convertito con L. 134/2012). Il problema all’epoca era la disciplina nel concordato preventivo dei contratti stipulati dal debitore, totalmente assente, a differenza del fallimento in cui la normazione era già da tempo ampia e consolidata agli artt. da 72 a 83bis L.F.. Dalla rubrica dell’articolo 169bis, “Contratti in corso di esecuzione” alla sostanza della norma, fiumi di inchiostro sono stati scritti, per tentare una catalogazione delle circostanze in cui la nuova disciplina interveniva, e con quali modalità. L’art. 8 del decreto introduce una modifica probabilmente temporanea, suscettibile di ampia ed ulteriore revisione al termine dei lavori della Commissione Rordorf. Tuttavia qualche spunto è interessante. Si modifica la rubrica, che diviene “Contratti pendenti”, probabilmente con lo scopo di evitare la querelle dottrinale sull’applicazione della norma ai contratti completamente eseguiti da una delle parti, e quindi non più, per alcuni, in corso di esecuzione. Alla modifica della rubrica non fa peraltro seguito quella, conseguente, del primo comma, dove l’espressione “in corso di esecuzione” invece rimane, e con essa il nostro dubbio sul senso della modifica. Si prevede l’audizione del contraente in bonis, e l’assunzione di informazioni, circostanze ampiamente percorse nella prassi, per dire il vero, e oggi semplicemente codificate, e si precisa la data di effetto di scioglimento e sospensione, che decorre dalla comunicazione del provvedimento autorizzativo all’altro contraente. Al secondo comma si precisa, e per i tempi che corrono per le prededuzioni forse ce n’era bisogno, che appunto prededotti devono essere considerati i crediti conseguenti a prestazioni legalmente eseguite ed in conformità agli accordi (e solo in assenza agli usi negoziali) sino al momento dello scioglimento o della sospensione. Che valga anche per i professionisti che assistono in debitore? Ancora, e nonostante tutto, curatori e giudici continueranno a considerarli un danno da minimizzare e declassare, e non un credito, nel successivo ed eventuale fallimento? Infine viene aggiunto un ultimo comma, che riguarda unicamente i contratti di locazione finanziaria e che disciplina due circostanze ugualmente importanti. La prima evita interpretazioni stravaganti. L’obbligo di restituzione del bene interviene allo scioglimento del contratto, e non con la sospensione come qualcuno sosteneva, complicando probabilmente in molti casi (pensiamo agli immobili) una situazione già di per sé non troppo semplice. La seconda introduce un meccanismo simile a quello in essere per il fallimento, e disciplinato all’art. 72quater L.F.. La società di leasing dovrà versare alla procedura la differenza tra quanto ricavato dalla vendita, o da altra collocazione del bene a valori di mercato, ed il debito residuo, se inferiore, o al contrario farà valere il suo credito in chirografo.

Veniamo al fallimento su cui incidono gli artt. 5, 6, 7 ed 11 del decreto. Due sono gli ambiti di intervento, uno perlomeno doveroso dopo la raccomandazione della Commissione Europea a limitare a tre anni la durata delle procedure fallimentari, e l’altro altrettanto necessario dopo aver assistito, ed è sicuramente capitato a tutti, a comportamenti poco virtuosi.

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