17 Marzo 2023

Appalti immobiliari e utilizzo del plafond Iva di esportatore abituale

di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi Tributari
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La scheda di FISCOPRATICO

Il soggetto passivo Iva che ha maturato la qualifica di esportatore abituale può utilizzare il plafond per l’acquisto di beni e servizi in generale, fatta eccezione per l’acquisto di immobili ed aree edificabili, nonché per i beni e servizi con Iva oggettivamente indetraibile.

La motivazione di tali esclusioni va ricercata principalmente nel fatto che la possibilità di acquistare beni e servizi senza Iva non costituisce un’agevolazione fiscale, bensì un aiuto finanziario finalizzato ad evitare l’emersione di cospicui crediti Iva in capo al soggetto che effettua “a valle” operazioni senza addebito di Iva (in quanto non imponibili) ed acquista “a monte” beni e servizi con il pagamento dell’Iva.

In questo contesto è più chiara la posizione dell’Amministrazione Finanziaria (circolare 145/E/1998) che ha espressamente esteso il divieto di utilizzo del plafond “per l’acquisizione di fabbricati, in dipendenza di contratti di appalto aventi per oggetto la loro costruzione o di leasing; e ciò in quanto (….) l’esclusione è evidentemente da estendere a tali modalità di acquisizione dei fabbricati stessi, che realizzano un effetto equivalente”.

Con riferimento ai fabbricati acquisiti in forza di un contratto di appalto, la Corte di Cassazione (sentenza n. 7504 del 15.04.2016) ha disconosciuto la tesi del Fisco che aveva escluso, nel caso di specie, l’applicabilità della disciplina del plafond, ritenendo che la realizzazione del fabbricato avesse solamente la veste formale dell’appalto, ma che in realtà dovesse qualificarsi, ai fini Iva, come una “cessione di beni.

Secondo la citata sentenza, “non ha trovato seguito nell’ordinamento nazionale dell’imposta” il più ampio concetto di cessione previsto a livello comunitario che include nel novero delle operazioni costituenti cessione di benianche operazioni prive della caratteristica dello scambio di un bene verso un corrispettivo, quali a) la consegna di un lavoro eseguito in base ad un contratto d’opera”, nonché b) la consegna di taluni lavori immobiliari”.

In virtù di ciò, secondo i giudici della Suprema Corte, occorre riconoscere legittimità giuridica soltanto  alla definizione interna di “cessione di beni” di cui all’articolo 2 D.P.R. 633/1972 (“atti a titolo oneroso che importano trasferimento della proprietà ovvero costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento di beni di ogni genere”) e alla  nozione di “prestazione di servizi”, recata dall’articolo 3 D.P.R. 633/1972, secondo cui “costituiscono prestazioni di servizio le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, (….)”.

Conseguentemente, precisa la medesima sentenza, non può essere posto alcun dubbio in merito alla “classificazione” del contratto d’appalto come prestazione di servizi atteso che il citato articolo 3 D.P.R. 633/1972 lo cita espressamente e, quindi,  “ è agevole ritrarre la conclusione che (….) l’appalto che abbia ad oggetto la realizzazione di un opificio industriale non costituisca cessione in quanto l’acquisizione avviene a titolo originario ed è diretta conseguenza dell’attività lavorativa dell’appaltatore e qualora, sia, come nella specie, eseguito a beneficio di un committente che rivesta la qualifica di esportatore abituale, sia esente da imposizione a mente dell’articolo 8, comma primo, lett. c), D.P.R. 633/1972”.

Nel principio di diritto n. 14/2019 l’Agenzia esprime il proprio pensiero “negativo” in relazione all’utilizzabilità del plafond per “l’acquisto” di un immobile tramite appalto, limitando il beneficio all’acquisto dei servizi relativi all’installazione degli impianti industriali, e non anche ai servizi di installazione di impianti relativi all’edificio, poiché per questi deve confermarsi la prevalenza del regime di inversione contabile, di cui all’articolo 17, comma 6, lett. a-ter, D.P.R. 633/1972 (circolare 37/E/2015).

La posizione dell’Agenzia deve essere interpretata nel senso che il divieto di utilizzo del plafond riguarda l’ipotesi in cui oggetto dell’appalto è la costruzione dell’immobile.

In tale ipotesi, infatti, non può trovare applicazione il reverse charge di cui all’articolo 17, comma 6, lett. a-ter), D.P.R. 633/1972 (nel qual caso, come detto, la questione non si porrebbe), e l’Iva deve essere applicata nei modi ordinari (con il sistema della rivalsa).

Trattandosi di una differente modalità per l’acquisizione del bene immobile, secondo l’Agenzia è preclusa la possibilità di utilizzare il plafond di esportatore abituale.

Resta immutata la possibilità di acquistare senza imposta beni e servizi funzionali al ciclo economico dell’impresa, ferma restando la prevalenza dell’inversione contabile nelle ipotesi già descritte.