3 Marzo 2018

Appello incidentale tardivo: “nesso di consequenzialità” invalicabile

di Francesco Rizzi
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Tanto nel processo civile quanto in quello tributario, qualora la soccombenza in primo grado sia “ripartita” tra le parti (e cioè per ciascuna di esse vi siano uno o più motivi esplicitamente rigettati dal giudice, anche se solamente in relazione alla richiesta di ristoro delle spese del giudizio), entrambe le parti potrebbero avere interesse a impugnare la sentenza, presentando appello allo scopo di sottoporre al riesame del giudice di seconde cure i capi della sentenza in cui risultano soccombenti.

In tale contesto si definisce “incidentale” l’impugnazione che si innesta successivamente a un gravame già proposto dall’altra parte.

L’appello incidentale si distingue, dunque, dall’appello principale in base ad un criterio temporale.

Tale appello, infatti, deve essere presentato in seno alle controdeduzioni, entro 60 giorni dalla notifica dell’appello principale, a pena d’inammissibilità.

Esso può tuttavia essere anche proposto oltre lo spirare dei termini di impugnazione. Si distinguono, infatti,

  • l’appello incidentale “tempestivo”, quando viene proposto entro i termini di impugnazione della sentenza di primo grado
  • e l’appello incidentale “tardivo”, quando il gravame viene proposto oltre i termini di impugnazione della sentenza di primo grado e pertanto quando detti termini sono già scaduti.

Caratteristica basilare e imprescindibile dell’appello incidentale tardivo (che lo contraddistingue da quello tempestivo) è che esso non può non essere “collegato” all’appello principale.

Di fatti, mentre l’appello principale e quello incidentale tempestivo sono “autonomi” (e, pertanto, l’inammissibilità o il rigetto dell’uno, non travolgerà l’altro e viceversa), l’appello principale e l’appello incidentale tardivo sono imprescindibilmente “collegati” (per cui l’inammissibilità dell’appello principale, travolgerà quello incidentale), in quanto il Legislatore ha posto una presunzione ex lege di sussistenza di un “nesso di consequenzialità” rispetto all’appello principale, in base alla quale deve ritenersi che se la parte non avesse ricevuto l’appello principale, non avrebbe avuto “interesse” a presentare appello incidentale tardivo.

Pertanto, senza tale “consequenzialità”, l’ordinamento giuridico non riconosce in capo alla parte quel necessario “interesse ad agire” meritevole di tutela (ex articolo 100 c.p.c.), senza il quale l’impugnazione incidentale tardiva sarà inammissibile.

Ciò è ricavabile dall’esegesi comunemente accolta dell’articolo 334, comma 2, c.p.c. a mente del quale “… se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l’impugnazione incidentale (tardiva) perde ogni efficacia”.

Anche di recente, la Suprema Corte di Cassazione, rafforzando il proprio orientamento interpretativo in materia, ha di fatti confermato che detto “nesso di consequenzialità” sia da ritenersi invalicabile.

Con la sentenza n. 2248 del 30/01/2018, la Corte di legittimità, ha infatti ritenuto infondato uno dei motivi di controricorso dell’Agenzia delle Entrate, la quale, avendo presentato appello principale quasi simultaneamente al contribuente ma oltre i termini di impugnazione della sentenza, si era vista dichiararne l’inammissibilità dal giudice di secondo grado e perciò lamentava alla Suprema Corte l’avvenuta violazione degli articoli 333 e 334 c.p.c. da parte della Commissione Tributaria Regionale, per non aver considerato che l’appello, quand’anche ritenuto tardivo come principale, avrebbe comunque dovuto ritenersi validamente proposto come appello incidentale tardivo.

Tuttavia, proprio in virtù della ratio legis sopra commentata, la Corte di Cassazione non ha accolto le suddette doglianze affermando che, nel caso di specie, la circostanza che l’appello dell’Amministrazione Finanziaria fosse stato comunque depositato nei modi e nei termini previsti per l’appello incidentale non è di per sé bastevole a consentirne la sua “conversione” da appello principale in appello incidentale tardivo. “Ciò non per ragioni formalistiche, ma di sostanza; nel senso che l’impugnazione incidentale tardiva è ammessa in via generale … omissis … con la sola finalità di dar modo alla parte parzialmente soccombente – che avrebbe altrimenti prestato acquiescenza alla sentenza – di impugnare anch’essa quest’ultima, una volta venuta a conoscenza dell’impugnazione principale avversaria. In assenza di tale condizione, l’interpretazione qui propugnata dall’agenzia delle entrate finirebbe con l’attribuire alla parte la facoltà di impugnare autonomamente la sentenza, alla stregua di impugnazione principale, anche oltre l’inutile decorso del termine decadenziale … omissis … .

L’impugnazione incidentale tardiva prevista dall’articolo 334 c.p.c. … omissis … è ammissibile … omissis … sempreché l’interesse a proporre l’impugnazione incidentale dipenda dall’avvenuta proposizione di quella principale.

La stessa previsione di cui all’articolo 334 cit., comma 2, secondo cui se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l’impugnazione incidentale perde ogni efficacia, risponde a questa logica di collegamento di interesse tra le due. Sicché, venuta meno (per inammissibilità) l’impugnazione principale, viene per ciò soltanto meno anche l’interesse all’impugnazione incidentale che trovava nella prima la ragione della propria proposizione”.

Infine, sebbene ad oggi pleonastico, la Suprema Corte ha altresì affermato che “Si tratta di principi che trovano applicazione anche nella specificità del rito tributario”.

La conciliazione giudiziale e l’appello