Applicazione del diritto comunitario ai fini Iva
di Roberto CurcuCon la conversione in legge del D.L. 146/2021 è stato modificato il regime di non imponibilità Iva delle prestazioni di trasporto internazionale per adeguarlo alle interpretazioni della Corte di Giustizia Europea, e da quanto si apprende dalla stampa specializzata, è stata data efficacia “futura” alla norma per mettere fine ad una serie di contestazioni sollevate dall’Agenzia delle Entrate.
In sostanza, si è deciso di cambiare la normativa, anziché chiedersi se sia corretto ritenere che le sentenze della Corte di Giustizia europea abbiano efficacia retroattiva “biunivoca”.
Qualora infatti lo Stato italiano avesse effettivamente la facoltà di chiedere retroattivamente imposte a contribuenti che hanno applicato la normativa interna, dichiarata poi incompatibile da una sentenza della Corte di Giustizia UE, si potrebbe dare adito a contestazioni molto significative, portando a rilievi in contesti molto più generalizzati, ad esempio a chi pone in essere contratti di leasing.
Partiamo da lontano, e cioè dagli articoli 11 e 117 Cost., che stabiliscono che la sovranità nazionale incontra dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Come chiarito infatti dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 389/1989, l’eventuale conflitto tra diritto interno e comunitario, produce l’effetto di disapplicazione del primo.
Nel campo Iva, in particolare, tutto ruota intorno alla Direttiva 112/2006, che è una norma rivolta ai singoli Paesi membri, che deve essere recepita nei rispettivi diritti nazionali. Tuttavia, quando la Direttiva contiene disposizioni incondizionate e sufficientemente chiare e precise, e lo Stato membro non ha recepito (correttamente) la Direttiva, “i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato”. Il “virgolettato” è tratto dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 168/1991, e, come evidenziato, il singolo può applicare direttamente il diritto comunitario, quando il proprio Stato non ha recepito o ha recepito male una direttiva, e lo può fare solo nei confronti del proprio Stato (il quale è l’unico colpevole del mancato o errato recepimento).
Si pensi che la Corte di Giustizia UE ha statuito che il privato non può fare valere il diritto comunitario contro un altro privato; in sostanza in una causa tra privati nella quale la normativa nazionale e quella comunitaria non recepita farebbero giungere a diverse conclusioni, il giudice deve applicare il diritto nazionale, e la parte soccombente può chiedere il risarcimento allo Stato per aver male recepito il diritto comunitario ed aver arrecato in tale modo un danno.
In questo modo, è evidentemente garantito il diritto di certezza del diritto (nel senso che chi applica il diritto nazionale non deve compiere ardui compiti di verifica della compatibilità dello stesso con il diritto comunitario), e l’unico soggetto che trae nocumento dal mancato o errato recepimento del diritto comunitario è il soggetto che si è reso responsabile del conflitto normativo: lo Stato.
Un cenno particolare va alle sentenze della Corte di Giustizia Europea. La Corte è l’organo deputato alla interpretazione autentica del diritto comunitario. In sostanza, una sentenza della Corte di Giustizia UE ha la stessa efficacia della norma che sta interpretando. Se interpreta una direttiva in modo da far emergere l’incompatibilità della stessa di una normativa nazionale, la normativa nazionale deve essere disapplicata, con effetto, normalmente, retroattivo.
Fatte tali premesse, dovrebbe essere abbastanza agevole capire che lo Stato non può fare valere il diritto comunitario non recepito contro il privato.
La cosa, oltre che logica, divenne evidente in una sentenza della Corte di Giustizia in una causa del 2004, con la quale la Corte di Giustizia UE statuì che quando normativa o prassi nazionale sono difformi alla corretta applicazione del diritto comunitario, il recupero dell’Iva nei confronti del privato non è consentito.
Si pensi pure che in tale causa il Governo italiano ritenne utile proporre alla Corte la propria interpretazione, che era quella di richiedere le imposte non versate e non applicare sanzioni (voleva “comunitarizzare” lo Statuto del Contribuente…). La Corte, invece, ritenne che nell’ottica di tutelare il legittimo affidamento dei contribuenti, nemmeno le imposte possono essere chieste.
In sostanza, lo Stato che non ha altri obblighi se non quelli di “adeguarsi al diritto internazionale”, e se svolge male tale compito, non può scaricare le proprie colpe sul privato.
Eppure, l’Amministrazione finanziaria, ma anche una buona parte di chi scrive sulla stampa specializzata, lasciano capire che le sentenze della Corte hanno efficacia retroattiva anche a danno del contribuente….
Nel 2005, ad esempio, una risoluzione dell’Agenzia delle Entrate precisò che andava data efficacia retroattiva ad una sentenza della Corte di Giustizia UE che aveva chiarito che l’esenzione Iva non poteva essere applicata alle prestazioni di medicina legale, e quindi pretendeva che i privati versassero tutta l’Iva per gli anni accertabili che non era stata addebitata, applicando la norma interna. Dovette intervenire il legislatore, e precisare che l’imponibilità si applicava solo per il futuro.
Nel 2019 la stessa Agenzia, con risoluzione, precisò che le scuole guida (che si erano conformate al proprio orientamento) che non avevano addebitato l’Iva sulle proprie prestazioni, avrebbero dovuto versarla retroattivamente, per tutti gli anni accertabili, in quanto la Corte di Giustizia Europea aveva nel frattempo fornito una interpretazione della Direttiva 112/2006, che escludeva l’esenzione per tali prestazioni. Anche in tale caso, il legislatore intervenne per disporre che l’imponibilità Iva di tali prestazioni era solo per il futuro.
Ora, il legislatore ha modificato l’articolo 9 del Decreto Iva, limitando i casi di applicazione del regime di non imponibilità, in senso conforme alla Direttiva Iva, come interpretata dalla sentenza della Corte di Giustizia UE C-288/16, con decorrenza 2022. Si apprende che l’esplicita previsione di una data futura di efficacia della norma sia stata inserita per evitare l’applicazione diretta e retroattiva del diritto comunitario a danni del contribuente.
Ma se per far sì che il diritto comunitario non possa avere efficacia diretta e retroattiva a danno del contribuente servisse ogni volta un intervento del legislatore interno, sarebbe allora opportuno che il legislatore prendesse rapidamente carta e penna e cambiasse diverse norme, o nelle more ci sarebbero contestazioni un po’ per tutti: dalla ritardata applicazione dell’Iva nei contratti di leasing traslativo, all’indetraibilità dell’Iva connessa alle operazioni di lease back, alla mancata applicazione del regime di esenzione per alcune prestazioni rese all’interno di consorzi, alla mancata applicazione dell’Iva ai distacchi di personale pari al costo, ecc…