25 Febbraio 2015

Approvato dal Governo il decreto Tutele Crescenti

di Luca Vannoni
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Terminata la fase consultiva presso le Commissioni di Camera e Senato, il Governo nel Consiglio dei Ministri del 20.02.2015 ha approvato definitivamente il decreto legislativo che introduce nel nostro ordinamento le tutele crescenti, in caso di licenziamento illegittimo, per i lavoratori a tempo indeterminato “nuovi assunti” a partire dall’effettiva entrata in vigore del decreto. Per la piena efficacia, è ora necessario attendere la firma da parte del Presidente della Repubblica e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Le nuove disposizioni attuano quanto previsto dall’art. 1, comma 7, lett. c., della L. n. 183/2014, la c.d. Legge Delega Jobs Act, e cioè l’introduzione, per le nuove assunzioni, “del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l’impugnazione del licenziamento”.

Al di là dell’attacco della norma di delega, l’intervento non crea un nuovo contratto di lavoro, ma riforma le conseguenze in caso di licenziamento illegittimo, limitando ancor di più la possibilità di reintegra e consentendo ai datori di lavoro di poter valutare quanto potrà “costare” un licenziamento illegittimo, grazie a un meccanismo sanzionatorio di natura indennitaria calcolato sull’anzianità del lavoratore.

Il mosaico normativo che si vuole creare nel mercato del lavoro si fonda, oltre che sul decreto in commento, sull’agevolazione triennale per le assunzioni a tempo indeterminato, entrato in vigore dal 1° gennaio 2015, sul riordino delle tipologie contrattuali, con un progressivo superamento delle collaborazioni coordinate e continuative, e sulla riforma degli ammortizzatori sociali. L’obiettivo è chiaro: assorbire nel lavoro subordinato a tempo indeterminato forme precarie, rendendolo nel contempo più vantaggioso da un punto di vista economico e più flessibile nelle condizioni di recesso.

Analizzando il contenuto del decreto, il primo punto di attenzione riguarda la sfera di applicazione (art. 1): il nuovo regime a tutele crescenti si applica non solo ai lavoratori assunti a tempo indeterminato a decorrere dall’entrata in vigore, ma anche ai casi di conversione, purché successiva all’entrata in vigore del decreto, di contratti a tempo determinato o di apprendistato. Quest’ultima disposizione, nuova rispetto al testo presentato a dicembre, a dir la verità sembra presentare rischi di compatibilità rispetto alla delega, soprattutto per quanto riguarda l’apprendistato. Tale forma contrattuale nasce infatti a tempo indeterminato, per espressa disposizione del D.Lgs. n. 167/2011 (confermata dalla bozza di decreto sul riordino delle tipologie contrattuali): pertanto, tali lavoratori potrebbero non essere considerati come “nuovi assunti” a tempo indeterminato. E, comunque, si pone il problema di come conteggiare l’anzianità per determinare l’esatto ammontare dell’indennità risarcitoria in caso di licenziamento illegittimo: dall’assunzione o dalla conferma, concluso il periodo di apprendistato?

Gli stessi dubbi di compatibilità con la delega possono porsi in ordine all’ulteriore ipotesi di applicazione delle tutele crescenti previste dal comma 3 dell’art. 1: lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore del decreto in aziende fino a 15 dipendenti, nelle quali si procede con nuove assunzioni che fanno scattare il superamento della soglia della tutela dell’art. 18. Sicuramente la norma ha un contenuto condivisibile, cioè evitare che il superamento della soglia dei 15 dipendenti determini 2 diversi regime in caso di licenziamento illegittimo, art. 18 della L. n. 300/1970 per i vecchi assunti e nuove tutele crescenti per i lavoratori assunti dopo l’entrata in vigore del decreto; ciò non toglie che la soluzione normativa operata potrebbe non reggere a un vaglio di costituzionalità.

Proseguendo l’analisi del decreto, l’art. 2 conferma la reintegra (più il risarcimento delle retribuzioni perse, dal licenziamento alla reintegra, minimo 5 mensilità) in caso di nullità del licenziamento perché discriminatorio ovvero perché riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla Legge. Le novità, su questo specifico aspetto, riguardano il calcolo delle indennità di licenziamento e i difetti di giustificazione per motivi consistenti nella disabilità fisica o psichica del lavoratore. Nel primo caso, ora il riferimento per il calcolo della retribuzione è all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR e non al concetto, più sfuggente, di “retribuzione globale di fatto”. Nel secondo caso, si prevede espressamente il rientro delle tipologie di licenziamento sopra indicate nelle ipotesi di reintegrazione con tutela forte. In questo caso, oltre a evidenziarsi che la nuova disciplina prevede un risarcimento più corposo rispetto alla disciplina prevista dall’art. 18 post Legge Fornero (reintegra + 12 mensilità massimo), il dubbio riguarda il licenziamento per superamento del periodo di comporto in caso di malattia: in caso di erroneo conteggio, l’illegittimità del licenziamento determinerà la reintegra in quanto legato a disabilità fisica?

Nei casi, invece, di licenziamento ingiustificato, ma non nullo, è prevista esclusivamente una tutela esclusivamente economica. In assenza di giusta causa o di giustificato motivo, soggettivo o oggettivo, il datore è condannato al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di anzianità di servizio, per un minimo di 4 mensilità e un massimo di 24, ma il licenziamento è comunque efficace e il rapporto di lavoro si estingue alla data del licenziamento.

Solo nel caso di licenziamenti disciplinari (per giusta causa o giustificato motivo soggettivo), in cui il fatto materiale a base del licenziamento non sussiste, il giudice può disporre la reintegra e un risarcimento fino a 12 mensilità della retribuzione TFR.

Netto, quindi, è lo stacco rispetto alla Legge Fornero, e alle modifiche da essa apportate all’art. 18: l’insussistenza non è più rilevante nei licenziamenti per motivi economici e, nei licenziamenti disciplinari, non vi sono più meccanismi di valutazione della proporzionalità che possono far scattare la reintegra (prima della Riforma delle tutele crescenti, faceva scattare la reintegra il licenziamento comminato per ipotesi dove la contrattazione collettiva prevede solo sanzioni conservative).

Rimangono confermate le tutele “light” in caso di vizi procedurali (fino a 12 mensilità, una mensilità per anno di servizio, con minimo di 2) e per i nuovi assunti, per le imprese fino a 16 dipendenti (massimo 6 mensilità, minimo 2, una mensilità per anno di servizio). Si ricorda, comunque, che anche sotto i 16 dipendenti il licenziamento nullo o discriminatorio dà luogo alla reintegra.

Nonostante la forte avversione da parte del mondo sindacale, è rimasto incluso nelle nuove tutele crescenti anche il licenziamento collettivo, con applicazione dell’indennità risarcitoria a tutele crescenti (fino a 24 mensilità) nel caso di violazione delle procedure o dei criteri di scelta.

Infine, tra le novità principali, si rileva che è prevista come non applicabile per i nuovi assunti la procedura ex art. 7 della L. n. 604/1966 (tentativo preventivo di conciliazione in caso di licenziamento per motivi economici), sostituita con una nuova offerta di conciliazione per tutti i casi di licenziamento, oggettivi o soggettivi.

Il datore di lavoro, entro 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento, può proporre, a titolo conciliativo, una somma (con assegno circolare) pari ad una mensilità per ogni anno di servizio, con il minimo di 2 e il massimo di 18 mensilità, purché la conciliazione sia svolta presso una c.d. sede protetta, conciliazioni sindacali o presso la DTL. L’importo è fiscalmente e contributivamente esente. Qualche dubbio solleva inoltre la nuova comunicazione prevista entro 65 giorni (il cui inadempimento è sanzionato), ulteriore rispetto alla comunicazione di cessazione, anche nel caso di mancata conciliazione.