Aspetti civilistici e contrattuali del leasing immobiliare abitativo
di Luca CaramaschiL’adozione della figura contrattuale della locazione finanziaria quale strumento per l’acquisizione di immobili, se certamente frequente e assai conosciuto nel mondo delle imprese, è stata fino ad oggi non considerata dal mondo dei “privati” se non altro per la scarsa convenienza sia economica che fiscale rispetto ad altre tradizionali forme di finanziamento (il classico mutuo) o meno tradizionali e più recenti (dalla vendita con riserva di proprietà al rent to buy).
Con la recente legge Finanziaria per l’anno 2016 (art.1 commi da 76 a 84 della legge n.208/15) il legislatore ha introdotto specifiche misure volta ad incentivare l’adozione del contratto di leasing quale strumento per l’acquisizione (anche nella forma del cosiddetto leasing “in costruendo” o leasing appalto) di immobili abitativi da parte di privati persone fisiche che si impegnano (dichiarandolo esplicitamente nel contratto) di destinare i medesimi a propria abitazione principale.
Dal punto di vista strutturale la “nuova” figura contrattuale definita dal legislatore con la legge di Stabilità 2016 prevede una fattispecie complessa comprendente due negozi (tre se si considera il probabile esercizio dell’opzione di acquisto finale da parte dell’utilizzatore) tra loro collegati. Da un lato, il contratto di leasing con il quale il concedente si impegna ad acquisire o far costruire l’immobile su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore e, dall’altro, il contratto di compravendita con il quale il concedente, in adempimento dell’obbligo assunto con il contratto di leasing, acquista dal terzo proprietario l’immobile abitativo scelto dall’utilizzatore. In relazione a questi due momenti il Consiglio Nazionale del Notariato, con lo Studio n.38-2016/C evidenzia come alla soluzione della redazione disgiunta e separata dei due diversi contratti appaia preferibile la soluzione di un unico atto pubblico contenente sia il leasing che la compravendita, in ragione dei vantaggi e delle maggiori garanzie sia per il concedente che per l’utilizzatore.
Con tale soluzione il concedente, nel caso di inadempienze dell’utilizzatore, verrebbe a disporre di un titolo esecutivo idoneo ad avviare la procedura di rilascio evitando la strada del procedimento sommario di cognizione (utilizzato per le cause civili che, per la loro natura, il giudice ritenga possano essere decise sulla base di un’istruzione sommaria), mentre l’utilizzatore avrebbe un titolo idoneo – se il contratto ha durata ultra novennale – per procedere alla trascrizione del leasing (pur ammettendo l’esistenza di posizioni contrapposte in dottrina il citato Studio n.38-2016/C propende per l’ammissione della trascrizione), situazione che certamente assicura all’utilizzatore una maggiore tutela nei confronti dei terzi. La riunificazione di entrambi i contratti in un unico atto rappresenta anche una soluzione valida ai fini fiscali (ad esempio, in tema di agevolazioni prima casa ai fini dell’imposta di registro), ma di questi aspetti ne parleremo in un prossimo contributo dedicato agli aspetti fiscali della disciplina in commento.
La disciplina in commento poi assicura all’utilizzatore tutta una serie di tutele, tra le quali si evidenzia la possibilità di richiedere (mediante apposita richiesta scritta al concedente che, valutato il caso, ne darà formale accettazione al ricorrere dei presupposti di legge) la sospensione del contratto di leasing immobiliare abitativo nel caso in cui, dopo la stipula, si verifichino, alternativamente,
- la cessazione del rapporto di lavoro subordinato (ad eccezione delle ipotesi di risoluzione consensuale, di risoluzione per limiti di età con diritto a pensione di vecchiaia o di anzianità, di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, di dimissioni del lavoratore non per giusta causa);
- la cessazione dei rapporti di lavoro per controversie inerenti contratti di agenzia, di rappresentanza commerciale o di altri rapporti di collaborazione, anche se non a carattere subordinato, ad eccezione delle ipotesi di risoluzione consensuale, di recesso datoriale per giusta causa, di recesso del lavoratore non per giusta causa.
La sospensione – che non comporta l’applicazione di alcuna commissione o spesa di istruttoria e avviene senza richiesta di garanzie aggiuntive – potrà essere chiesta solo una volta e per un periodo massimo non superiore a dodici mesi nel corso dell’esecuzione del contratto medesimo. La sospensione non comporta la maturazione di interessi sul debito e comporta il differimento dell’opzione finale di acquisto (riscatto).
L’esigenza di tutela dell’utilizzatore si manifesta poi in altre situazioni patologiche: l’assoggettamento a procedure concorsuali della società di leasing piuttosto che del venditore/costruttore dell’immobile.
Nel primo caso il contratto di leasing prosegue regolarmente e si applica la disciplina prevista per tale ipotesi dalla legge fallimentare a prescindere dal tipo di bene oggetto di leasing; pertanto il contratto prosegue e l’utilizzatore conserva la facoltà di acquistare alla scadenza del contratto la proprietà del bene, previo pagamento dei canoni e del prezzo di riscatto. In pratica, nessuna conseguenza negativa si produce a danno dell’utilizzatore in caso di fallimento del concedente.
Nel secondo caso l’immobile così acquistato non è soggetto a revocatoria fallimentare e tenuto conto che il contratto di leasing è finalizzato a procurare all’utilizzatore il godimento di una casa che egli intende destinare ad abitazione principale, secondo il citato Studio n.38-2016/C, è ragionevole applicare il disposto della legge fallimentare per il quale sono sottratte alla revocatoria fallimentare le vendite, concluse a giusto prezzo, aventi a oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente di suoi parenti e affini entro il terzo grado.
Il legislatore, infine, disciplina anche le situazioni che derivano dalla risoluzione del contratto di leasing a seguito dell’inadempimento dell’utilizzatore (tipico è il caso di mancato pagamento dei canoni). In tale situazione, a seguito della risoluzione del contratto, la società di leasing ha diritto alla restituzione del bene. È consentito alla società di leasing, per il rilascio dell’immobile, di agire con il procedimento per convalida di sfratto, ossia con lo stesso procedimento speciale previsto dalla legge per le locazioni ordinarie per il caso di morosità dell’inquilino. Una volta risolto il contratto (e venuta, conseguentemente, meno anche la facoltà di acquisto finale dell’utilizzatore) il concedente, che ha mantenuto la proprietà dell’immobile, deve procedere alla vendita dello stesso o alla sua ricollocazione (ad esempio la concessione dello stesso a terzi mediante nuovo contratto di leasing o di locazione ordinaria). In proposito, la legge di Stabilità per l’anno 2016 prevede che nell’attività di vendita e ricollocazione del bene il concedente deve attenersi a criteri di trasparenza e pubblicità nei confronti dell’utilizzatore. In virtù di tali obblighi di trasparenza e di pubblicità, il concedente, nel vendere o ricollocare l’immobile, dovrà secondo il più volte richiamato Studio del Notariato adottare procedure che garantiscono il miglior risultato possibile nell’interesse anche dell’utilizzatore, ad esempio ricorrendo eventualmente anche alle “procedure competitive” che in taluni casi possono garantire, al contempo, la massima diffusione della proposta di vendita così da raggiungere il maggior numero di potenziali acquirenti (requisito della pubblicità) e un sistema incrementale delle offerte al fine della vendita o ricollocazione alle migliori condizioni di mercato (requisito della trasparenza). Una volta venduto e/o ricollocato il bene, il concedente dovrà restituire all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita e/o ricollocazione suddetta, al netto delle seguenti somme che il concedente ha il diritto di trattenere:
- la somma dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione;
- i canoni successivi alla risoluzione attualizzati (secondo il tasso previsto dal contratto);
- le spese condominiali eventualmente sostenute, assicurazioni, costi tecnico/legali, ecc.;
- il prezzo pattuito per l’opzione finale (riscatto).
In caso di saldo negativo, l’utilizzatore dovrà rifondere al concedente la differenza. È proprio in relazione a quest’ultima possibilità che il legislatore ha prescritto l’obbligo per il concedente di osservare criteri di trasparenza e pubblicità nella vendita e/o ricollocazione del bene, al fine, per l’appunto, di evitare la svendita dell’immobile a prezzi inferiori a quelli di mercato, con conseguente esborso a carico dell’utilizzatore.