17 Settembre 2015

Aspetti generali dell’accertamento induttivo

di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi Tributari
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Sono ancora diffusi i casi in cui l’Amministrazione finanziaria procede all’accertamento induttivo delle imposte sui redditi d’impresa pervenendo ad una ricostruzione extra-contabile del reddito, secondo i presupposti e le modalità contenute nell’art. 39, co.2, del DPR 600/73. È utile pertanto riprendere gli aspetti generali di tale tecnica accertativa.

Tralasciando le fattispecie aggiunte in un secondo momento, e riferite all’infedeltà dei dati relativi agli studi di settore, la tipologia di accertamento in questione può avere luogo:

  • quando il reddito d’impresa non è stato indicato nella dichiarazione;
  • quando da verbali di ispezione risulta che il contribuente non ha tenuto o ha comunque sottratto all’ispezione una o più delle scritture contabili obbligatorie, ovvero quando le scritture medesime non sono disponibili per causa di forza maggiore;
  • quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate, ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute, da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica.

L’impianto normativo dell’art. 39 del DPR 600/73 fissa, quindi, in maniera espressa, dettagliata e tassativa le condizioni che giustificano l’accertamento induttivo. L’elemento che accomuna i presupposti dell’accertamento in commento, è costituito dalla inutilizzabilità dell’intero o di buona parte dell’impianto contabile del contribuente, vuoi per l’inesistenza del medesimo, vuoi per la sua indisponibilità, vuoi, infine, per l’inaffidabilità delle scritture contabili anche causata da comportamenti omissivi attribuibili al contribuente. In presenza di siffatte condizioni, il legislatore ha autorizzato gli Uffici accertatori a ricostruire il reddito d’impresa senza dovere ottemperare alla necessaria modifica od integrazione della rappresentazione contabile fornita dal contribuente (che costituisce il tipico accertamento contabile ex art. 39, co.1, DPR n. 600/73).

I criteri più diffusi utilizzati dagli Uffici, in funzione delle caratteristiche dei soggetti interessati e delle attività svolte, sono quelli che fanno riferimento:

  • a percentuali di ricarico, determinate sulla base del rapporto di ricavi dichiarati ed acquisti registrati in contabilità in relazione alla qualità ed alla natura dei prodotti commercializzati;
  • a percentuali di produttività dei macchinari;
  • al numero dei dipendenti;
  • ai consumi di materie prime.

Nel nostro ordinamento alle scritture contabili è affidato il compito di rispecchiare l’attività dell’azienda e, fino a prova contraria, è presente anche ai fini fiscali un concetto implicito di presunzione di correttezza delle stesse. Ne consegue che l’imprenditore, tenendole regolarmente, fornisce una prova generale della congruità dei fatti fiscalmente rilevanti da esso posti in essere.

Dopo aver definito l’ambito dei presupposti oggettivi dell’accertamento induttivo, occorre ora considerare nello specifico se l’Ufficio abbia la possibilità di ricorrervi anche in presenza di una contabilità formalmente corretta, conservata secondo le vigenti disposizioni di legge, ma comunque inattendibile nella sostanza. In altri termini, si intende verificare se, qualora ogni adempimento contabile sia correttamente soddisfatto, la sola via percorribile da parte dell’Amministrazione Finanziaria rimanga l’accertamento analitico, ossia la verifica delle singole voci presenti nella determinazione del reddito d’impresa, individuando una ad una le operazioni di rettifica da apportare alla dichiarazione senza poter ricorrere ad altre tecniche. Molteplici interventi giurisprudenziali sembrano ormai legittimare la rettifica del reddito d’impresa con metodo induttivo, anche in presenza di una contabilità riconosciuta formalmente regolare, quando inesattezze, falsità e/o manomissioni contabili siano riscontrate in maniera certa nel corso dell’attività istruttoria e di indagine dell’Amministrazione Finanziaria.

Impostazione giurisprudenziale confermata anche dalla Suprema Corte (Cass. 21 novembre 2001, n. 14700) la quale ha ribadito che, anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, è consentito procedere alla rettifica della dichiarazione dei redditi secondo il metodo induttivo purché, in ogni caso, l’accertamento risulti fondato su presunzioni assistite dai requisiti di precisione, gravità e concordanza, di cui all’art. 2729 c.c., e desunte da dati di comune esperienza.

L’accertamento in questione puntava alla dimostrazione di un’inattendibilità sostanziale della contabilità mediante la ricostruzione indiretta dei ricavi di un’azienda di ristorazione basandosi, tra gli altri elementi, sui costi e sulla quantità di merce acquistata, sul consumo di energia elettrica, sul numero dei dipendenti, sul costo della forza lavoro, e così via.  La condivisibile impostazione della Cassazione, nel non negare agli Uffici fiscali il potere di procedere ad accertamenti e rettifiche anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, vi pone nel contempo un limite, delimitando il potere di rettifica a riscontri non basati su mere presunzioni semplici ma esclusivamente su ipotesi fortemente indiziarie. Solo in questo modo l’inattendibilità delle scritture contabili è dimostrabile al di là di ogni ragionevole dubbio e solo in questo modo è possibile vincere la presunzione di correttezza delle stesse.

Il legislatore ha disciplinato l’argomento con l’art. 39, co. 1, lett. d) del DPR 600/73 (accertamento analitico-induttivo), che indica come la prova possa emergere anche da costruzioni presuntive purché gravi, precise e concordanti. La norma, infatti, prevede la facoltà per l’Amministrazione Finanziaria di presumere ricavi e corrispettivi anche in presenza di una contabilità completa e correttamente tenuta dal punto di vista formale, allorché risultino incongruenze fra il reddito dichiarato e quello fondatamente desumibile dall’andamento del settore di riferimento dell’attività svolta. Nell’accertamento della congruità del reddito d’impresa dichiarato dagli imprenditori, l’Amministrazione finanziaria utilizza frequentemente percentuali medie di ricarico dei prodotti destinati alla commercializzazione al fine di ricostruire indirettamente i ricavi presuntivamente conseguiti.

Sotto il profilo operativo, dopo avere rilevato i prezzi al pubblico dei prodotti esposti, o dopo aver rilevato gli stessi dalle fatture di vendita, vengono individuati i loro specifici costi di acquisto cercando di estendere la ricerca di queste informazioni alla totalità, o alla maggior parte, delle tipologie di prodotti trattati. Allo stesso tempo vengono rilevate le scorte, per poi procedere successivamente ad un riscontro con i relativi carichi e scarichi derivanti dalle fatture e giungere così ad una valorizzazione quantitativa e qualitativa della merce giacente e della merce venduta.

Con tale ricerca sul campo verrà calcolato il c.d. costo del venduto per singola categoria merceologica sul quale applicare le percentuali di ricarico desunte dal confronto tra i prezzi di acquisto ed i prezzi di vendita rilevati dai verificatori all’atto dell’accesso. L’intento di tale ricerca sostanziale è quella di confrontare con quanto risulta dai libri contabili l’attendibilità dei dati dichiarati. Il limite di legittimità dell’utilizzo di percentuali di ricarico predefinite per settore merceologico utilizzate dall’Ufficio per contestare i dati mostrati in dichiarazione dall’impresa è molto labile e la giurisprudenza, in diversi casi, ha sancito l’illegittimità della rettifica delle scritture contabili da parte dell’Ufficio sulla base di elementi e di dati generici non direttamente e specificamente riferibili all’impresa in verifica.