1 Febbraio 2016

Assegnazione agevolata: attenzione al prelievo sul socio

di Fabio Garrini
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Dopo molti anni di attesa, la Legge di stabilità per il 2016 – L. 208/15 – introduce una disposizione straordinaria per la fuoriuscita dei beni dalle società. L’interesse del provvedimento viene concentrato sul confronto tra il prelievo in capo alla società, quantificato attraverso la previsione agevolativa, rispetto a quanto si sarebbe dovuto versare in condizioni ordinarie: la possibilità di applicare il valore catastale in sostituzione di quello normale e la previsione di una imposta sostitutiva (8% o 10,5%) sono certamente i due bonus più consistenti. A questi occorre aggiungere la possibilità di affrancare le riserve in sospensione d’imposta (con un’aliquota del 13%) e le riduzione alle imposte indirette sul trasferimento: l’imposta di registro viene ridotta alla metà, quando questa è applicabile in misura proporzionale, e le ipocatastali sono sempre dovute in misura fissa, facendo risparmiare il 4% quando ad essere assegnato è un immobile strumentale per natura.

Per valutare la convenienza ad azionare o meno l’assegnazione, occorre però mettere in gioco anche l’effetto sul socio che riceve il bene assegnato se la società considerata è di capitali (nel caso di società di persone le considerazioni sono più agevoli), per ovviare a spiacevoli inconvenienti in sede di compilazione del modello UNICO del socio stesso. Tale operazione ha, infatti, quale contropartita alla riduzione dell’attivo per lo storno del bene, una corrispondente riduzione di una posta del netto, riduzione che può interessare tanto una riserva di utili, quanto una riserva di capitale (ovvero, al limite, il capitale sociale). Riduzione che comunque potrebbe anche non essere del medesimo importo, visto che l’assegnazione del bene potrebbe essere accompagnata dall’attribuzione, per una quota del valore, di una posta del passivo (es: il mutuo acceso per l’acquisto dell’immobile).

Di seguito riepiloghiamo le conseguenze sul socio, considerando il caso di socio che detiene la partecipazione al di fuori del regime d’impresa, che peraltro è il caso più frequente.

 

Le riserve di utili

Della fiscalità del socio si occupa il c. 118 della legge di Stabilità 2016: “Il costo fiscalmente riconosciuto delle azioni o quote possedute dai soci delle società trasformate va aumentato della differenza assoggettata ad imposta sostitutiva. Nei confronti dei soci assegnatari non si applicano le disposizioni di cui ai commi 1, secondo periodo, e da 5 a 8 dell’articolo 47 del citato testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986. Tuttavia, il valore normale dei beni ricevuti, al netto dei debiti accollati, riduce il costo fiscalmente riconosciuto delle azioni o quote possedute.”

In questa sede interessa il secondo periodo di tale previsione, che però ha una formulazione che appare a dir poco fuorviante; vista l’affinità del presente testo normativo con quello contenuto nell’art. 29 della L. 449/97 pare possibile sfruttare quanto affermò in quella sede l’Agenzia.

Accantonata la prima versione della Legge di stabilità 2016 che escludeva ogni conseguenza sul socio (stabiliva infatti la disapplicazione dell’intero art. 47 TUIR), nella versione definitiva viene mantenuta la validità, in particolare, del c. 1 primo periodo e del c. 3 dell’art. 47, ossia le due disposizioni che regolano la tassazione del dividendo in capo al socio. Sul punto si era espressa, in occasione della precedente edizione richiamata, la circolare 40/E/02 affermando che, se la società sta assegnando beni ai soci e in tale sede viene attribuita una riserva di utili, il socio deve trattare l’assegnazione stessa come una normale distribuzione di utili in natura, benché il dividendo tassabile risulta pari alla differenza tra il valore normale del bene assegnato e l’ammontare su cui la società ha calcolato l’imposta sostitutiva. In altre parole, il dividendo viene ridotto di un importo pari al valore dell’immobile su cui è stata pagata la sostitutiva dell’8 o del 10,5%, ossia la plusvalenza che viene determinata in capo alla società, quantificata in maniera agevolata (catastale) e sottoposta a tassazione sostitutiva.

Da notare che, essendo applicabile il c. 3 dell’art. 47 TUIR, il valore di partenza su cui calcolare il dividendo non è l’importo della riserva ridotta, ma il valore normale del bene, appunto perchè trattasi di utile in natura; ora, poiché la previsione contenuta nella legge di stabilità stabilisce, nell’ambito dell’assegnazione, la possibilità di far riferimento al valore catastale per l’individuazione del valore normale dell’immobile, tale valore catastale potrebbe considerarsi anche per la determinazione del dividendo.

Il costo della partecipazione risulterà invece inalterato.

 

Riserve di capitale

Più agevole è la disciplina applicabile quando ad essere assegnata è una riserva di capitale: tale distribuzione implicita di riserve non genera materia imponibile in capo al socio, ma va a diminuire il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione. Occorre comunque tenere in considerazione due aspetti.

  • Il costo della partecipazione, prima di essere ridotto della riserva assegnata, deve essere incrementato di un importo pari al valore dell’immobile su cui è stata applicata imposta sostitutiva, per evitare che un risparmio in capo alla società possa tradursi in una corrispondente tassazione in capo al socio.
  • Qualora la riserva distribuita sia superiore al costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione (incrementato, come detto, della base imponibile sui cui è stata pagata la sostitutiva), si genera il cosiddetto “sottozero” che deve essere oggetto di tassazione in capo al socio.