Assegnazione agevolata dei terreni agricoli da valutare caso per caso
di Alberto RocchiLuigi ScappiniL’assegnazione e la trasformazione agevolate introdotte dalla Legge di Bilancio 2023 sono una riedizione di quanto previsto dall’articolo 1, commi da 115 a 120, L. 208/2015.
Si possono pertanto ragionevolmente ritenere validi i documenti di prassi emanati dall’Agenzia delle entrate in occasione della precedente normativa.
L’Agenzia delle entrate, con la circolare 26/E/2016, § 3.1, testualmente affermava: “Con riferimento alle società operanti nel settore agricolo, si precisa che qualora il terreno sia utilizzato per effettuare la coltivazione e/o l’allevamento di animali lo stesso non è assegnabile ai soci in regime agevolato, essendo in tal caso impiegato dalla società nell’esercizio dell’impresa. Rientrano, invece, nella disciplina in esame i terreni concessi in locazione o in comodato al momento dell’assegnazione, non essendo in tal caso gli stessi impiegati dalla società nell’esercizio dell’impresa”.
Le istruzioni ministeriali disegnano questo parallelo tra terreni coltivati (che equivale a beni strumentali impiegati in attività d’impresa) e terreni non coltivati (che equivale a beni non impiegati in attività d’impresa), in armonia con indicazioni di prassi consolidate, che hanno sempre attribuito ai terreni agricoli la natura di beni strumentali “per destinazione” (vedasi circolare 112/E/1999).
Nonostante l’apparente semplicità, l’esatta individuazione dei beni agevolabili nasconde qualche insidia.
Se si legge con attenzione il passaggio della circolare 26/E/2016 poc’anzi riportato, il dato testuale farebbe pensare a un ambito applicativo della norma limitato a:
- terreni coltivati: non agevolabili
- terreni non coltivati e affittati: agevolabili
In realtà, sembrerebbe più corretto il seguente:
- terreni coltivati: non agevolabili
- terreni non coltivati e posseduti: agevolabili
- terreni non coltivativi e affittati: agevolabili
Infatti, è ipotizzabile il caso di terreno agricolo classificabile come “immobile patrimonio”, ovvero posseduto ma sul quale non viene esercitata alcuna attività senza che per questo sia stato concesso in locazione o comodato.
In ogni caso è il concetto di terreno “coltivato”, che fa da discrimine ai fini dell’applicazione della disciplina in esame: ma quando possiamo dire che questa condizione sia soddisfatta?
Scendendo nel dettaglio, occorre fare i conti con molte situazioni dai contorni sfocati.
È sufficiente allo scopo che vi sia una partita Iva aperta con codice attività specifico? O che la società abbia conseguito effettivamente dei ricavi? Oppure ancora che sul terreno siano “appoggiate” quote di diritti agli aiuti comunitari (PAC)?
In verità, al di là del caso classico in cui vi sia un’azienda agricola in regolare attività, con tanto di costi e ricavi, possono esserci molte circostanze intermedie da valutare con attenzione.
Si pensi a una società che, occupandosi d’altro, possieda anche un terreno agricolo con attivato un codice attività di coltivazione: in questi casi, ci si chiede se sia sufficiente far riferimento al dato formale o si debba aver cura della sostanza; se in altri termini, appurata l’assenza di un’attività agricola che abbia generato ricavi, il terreno possa considerarsi agevolabile o no: ad avviso di chi scrive, in queste circostanze la sostanza deve prevalere sulla forma, per cui occorre valutare se in concreto il terreno non sia stato destinato ad alcuna attività ancorché minimale e abbia concorso a formare il patrimonio sociale unicamente come bene d’investimento, nel qual ultimo caso può essere oggetto della norma agevolata.
E ancora, come considerare il fondo da cui derivi il diritto al percepimento di contributi comunitari senza obbligo di coltivazione?
Come noto, la nuova Pac prevede espressamente questa possibilità: il proprietario può tenere i terreni a riposo e cura solo quelle lavorazioni mirate a contenere le piante infestanti.
Anche in questo caso, se accettiamo la logica ispiratrice della normativa, non sembrano esservi ostacoli per consentire un accesso incondizionato all’agevolazione in tutte le possibili varianti: assegnazione, cessione ai soci, trasformazione agevolata.
Ancora meno chiaro è il caso dell’allevamento.
La circolare parla di terreni “utilizzati per effettuare l’allevamento di animali”; ma un’attività di allevamento potrebbe realizzarsi anche in assenza di terreno ad esso dedicato.
In altri termini, l’affermazione della circolare va letta nel senso che la società che svolge attività di allevamento, deve considerare tutti i terreni che possiede come “utilizzati” e quindi non agevolabili?
Sicuramente, sarà necessaria una valutazione caso per caso, prendendo in esame la contiguità dei terreni alle stalle, il loro utilizzo o meno per lo smaltimento dei liquami, il concorso del reddito agrario ai fini dell’applicazione dell’articolo 34 Tuir.