7 Giugno 2016

Assegnazioni: la base imponibile IVA reclama chiarezza

di Giovanni Valcarenghi
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Nel caso di assegnazione agevolata di beni immobili, quale è la corretta base imponibile ai fini dell’IVA?

Non seguano queste riflessioni i colleghi che hanno in animo di utilizzare il regime di esenzione; probabilmente lo sforzo sarebbe inutile, in gran parte dei casi.

Quando, però, per obbligo o per scelta si intende applicare l’imposta sul valore aggiunto, il dato risulta assolutamente determinante; quindi, va verificato, innanzitutto, il contenuto del paragrafo 7.1 della circolare 26/E/2016 che si è occupato della questione senza peraltro poter materialmente risolvere il dubbio.

Ed il nulla di fatto, si badi, non è da ascrivere negativamente all’Agenzia, bensì ad una normativa interna e comunitaria che non è del tutto limpida o, quantomeno, adatta all’operatore pratico.

Innanzitutto, le Entrate rammentano che la base imponibile IVA non ha nulla a che vedere con il valore catastale, qualora si fosse prescelto tale parametro (per il comparto fiscale e non certo per quello contabile) per realizzare l’operazione.

In mancanza di regole derogatorie, quindi, ci si deve rifare al contenuto dell’articolo 13, comma 2, lettera c) del DPR 633/1972, che abbiamo già citato in precedenti interventi sulla tematica.

Ai fini della determinazione della base imponibile, occorrerà fare riferimento al criterio costituito “dal prezzo di acquisto o, in mancanza, dal prezzo di costo dei beni o di beni simili, determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni”.

Cosa sia il prezzo di costo non ci è chiaro, ma sappiamo unicamente che, per esigenze comunitarie di raccordo e conformità con la Direttiva, il criterio del prezzo di acquisto ha sostituito il precedente parametro del valore normale.

La previsione interna è ora conforme alla disciplina comunitaria dettata dall’articolo 74 della Direttiva n. 2006/112/CE, ai sensi della quale per le operazioni nelle quali manca il corrispettivo la base imponibile è costituita dal prezzo di acquisto dei beni o di beni simili, o, in mancanza del prezzo di acquisto, dal prezzo di costo, determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni.

La circolare 26/E/2016 precisa che la “previsione del criterio del prezzo di acquisto o di costo, in sostituzione di quello del valore normale, implica che la base imponibile IVA della cessione gratuita non comprenda il “ricarico” normalmente praticato sul mercato per quel bene, bensì sia costituita dal prezzo di acquisto del bene “attualizzato” al momento della cessione”.

Anche tale indicazione ci era nota, con la sola difficoltà che il concetto di attualizzazione presuppone di avere a disposizione un valore futuro che va riportato ai giorni nostri, mentre probabilmente qui si deve fare qualche cosa di differente, vale a dire un aggiornamento.

La stessa circolare non può fare altro che citare noti riferimenti di giurisprudenza comunitaria che, diligentemente, riproponiamo in sintesi:

  • Corte di Giustizia UE, 17 maggio 2001 – procedimenti riuniti C-322/99 e C- 323/99 (sentenza Fischer): la base imponibile della cessione gratuita coincide con il “valore residuo del bene al momento del prelievo”. Nella quantificazione di detto “valore residuo”, occorre tener conto anche delle spese relative agli interventi consistenti nell’incorporazione nel bene principale oggetto di cessione di altri beni che ne abbiano comportato un incremento duraturo di valore non interamente consumato al momento del prelievo. Notiamo che il concetto di valore residuo sembra più vicino ad un concetto di valore corrente o, se vogliamo, di valore ancora esprimibile dal bene (appunto, senza il ricarico di cui si diceva in precedenza);
  • Corte di Giustizia UE, sentenza 3 maggio 2013, causa C-142/12: non è conforme al diritto comunitario una norma nazionale che consideri il valore normale quale base imponibile dei beni destinati ad attività estranee a quella di impresa, nel caso in cui tale ultima attività cessi.

Compresi i “fondamentali” si tratta di trovare una sintesi che sia materialmente applicabile.

Si afferma, allora, che – ai fini della determinazione dell’imponibile – “il prezzo di acquisto non può essere limitato all’importo pagato per acquistare il bene, ma deve comprendere anche tutte le spese sostenute per riparare e completare il bene stesso durante la sua vita aziendale (sempreché si tratti di spese relative ad acquisti di beni e servizi in relazione ai quali sia stata applicata l’imposta e sia stata operata la detrazione della medesima), tenendosi, comunque, conto, anche con riferimento a queste, del deprezzamento che il bene ha subito nel tempo”.

Quindi:

(+) prezzo di acquisto;

(+) spese incrementative e di completamento, con IVA detratta;

(-) deprezzamento subito dal bene nel tempo.

I primi due elementi sono chiari, mentre manca qualsiasi riferimento per la quantificazione del terzo.

In dottrina, si era fatto riferimento ad una sorte di “ammortamento” di tali valori, concetto che potrebbe esprimere il deprezzamento subito (anche se oggi, a ben vedere, il processo di ammortamento è una suddivisione di un costo pluriennale su più esercizi, tenendo conto dell’utilità futura).

Sembrerà paradossale, ma così come le aziende fanno una grande fatica ad esplicitare un piano di ammortamento che tenga davvero conto dell’utilità futura di un bene, gli stessi soggetti faranno una grande fatica ad individuare il deprezzamento che dovrebbe ridurre la base imponibile in sede di assegnazione.

Non pare ci sia una soluzione univoca, se non quella di concretizzare un fattore decrementativo che sia il più possibile oggettivo e, ove possibile, possa trovare un riscontro indiretto nel valore di mercato del bene, nettizzato di una componente di guadagno imputabile al soggetto venditore.