16 Ottobre 2014

Assenza di obblighi contabili e conti correnti “promiscui”

di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
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La sentenza della
Corte Costituzionale n.228 del 2014,
commentata nei giorni scorsi da Giovanni Valcarenghi, risolve senza ombra di dubbio la problematica del prelevamento in capo ai lavoratori autonomi. L’impatto della decisione, però, sembra essere di
ampia portata, essendo i principi in essa contenuta talmente forti da poter essere proficuamente utilizzati anche in altre circostanze.
Tra gli aspetti salienti rimarcati dalla Corte si ritengono particolarmente significativi i seguenti:
  • l’attività svolta dai lavoratori autonomi si caratterizza per la preminenza dell’apporto del lavoro proprio e la marginalità dell’apparato organizzativo, che diviene quasi del tutto assente nei casi in cui è più accentuata la natura intellettuale dell’attività svolta, come per le professioni liberali;
  • il reddito professionale è normalmente gestito con un sistema di contabilità semplificata, con inevitabile e fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali.
A ben vedere, i presupposti che hanno condotto alla decisione della Corte Costituzionale sembrano spendibili nel mondo delle imprese e degli eventuali controlli effettuati ai familiari dell’imprenditore o ai soci. Quanto alla marginalità dell’apparato organizzativo, è utile effettuare un parallelo con l’iter giurisprudenziale in materia Irap, dove è noto che la Corte di Cassazione ha stabilito
la non debenza dell’imposta anche in determinate fattispecie di reddito d’impresa, connaturate da scarsa organizzazione. Relativamente poi alla promiscuità delle entrate e delle spese lavorative con quelle personali, soprattutto in presenza di obblighi contabili semplificati, l’estensione del concetto espresso dalla Corte Costituzionale anche al mondo imprenditoriale
è ben visibile, essendo sufficiente pensare ai contribuenti semplificati o addirittura in regimi agevolati (in primo luogo i c.d. minimi), oppure ai soci, che inevitabilmente utilizzano i propri conti per scopi personali.
Quali
margini difensivi si offrono al dunque?
Il primo principio inequivocabile è che non possa mai essere superato in maniera acritica il vincolo posto
dall’articolo 53 della Costituzione, ossia la determinazione del reale reddito del contribuente. Ad esempio, un recupero “asettico”, mediante un accertamento analitico, dei prelievi effettuati dall’imprenditore o dai soci sui propri conti, senza tener conto di utilizzi familiari e senza riconoscimento di costi non può essere affatto tollerato. In tale direzione mirabile è la
sentenza n. 336/32/13 della CTR Campania, che proprio in materia di indagini finanziarie ha evidenziato come il richiamato baluardo costituzionale non possa essere mai superato.
Altrettanto proficuo è obiettare l’
assenza di specifici obblighi contabili. I contribuenti in regimi semplificati o super semplificati non si distanziano dai professionisti e, oltre alle statuizioni della sentenza n. 228 in commento, appare utile quanto stabilito nella sentenza n.
335/17/13 della CTR Sicilia, secondo cui è impossibile chiedere al contribuente una completa riconciliazione tra movimentazioni finanziarie dei sui conti e accadimenti lavorativi. Così si esprimono i giudici siciliani: “
L’Ufficio insiste sulle rilevazioni bancarie e sull’onere della prova che incombe al contribuente per le operazioni che non trovano riscontro nella contabilità. Ma il contribuente non può essere onorato di una prova impossibile. E inoltre, nel caso in esame, il (contribuente) ha dato spiegazioni e ha esibito documenti (….) che giustificano la impossibilità di porre in essere, in assenza di una obbligatorietà di contabilità ordinaria, una ricongiunzione tra le movimentazioni bancarie e le annotazioni in contabilità”.
Si pensi ai conti dei soci: in assenza di obblighi contabili e considerato l’inevitabile utilizzo personale, se la presunzione sul prelevamento è “spropositata”, ben sarà possibile invocare le conclusioni della Corte Costituzionale e delle sentenze di merito sopra richiamate. Ad esempio, appare sicuramente percorribile la strada dell’esclusione dalla presunzione dell’ammontare dei prelevamenti compatibile con le ordinarie e razionali esigenze della vita quotidiana.
Ed in tale direzione è sicuramente interessante la
CTP di Ancona,
n. 281/04/14, che seppur riferita ad un professionista, è esplicativa della casistica dei soggetti in contabilità semplificata e che peraltro riceve pagamenti prevalentemente in
contanti, oltre ad utilizzare il conto per scopi personali.
L’organo giudicante ha giustamente evidenziato che l’attuale normativa non prevede specifici obblighi, non soltanto contabili, ma anche in ordine al versamento di quanto introitato. Non esistono, infatti, disposizioni secondo cui l’intero importo incassato deve essere versato oppure che stabiliscano l’obbligo di procedere ai versamenti con puntuale cadenza temporale (ad esempio, una volta a settimana). Non dovendo dimenticare che il contribuente persona fisica imprenditore naturalmente può trattenere delle somme per le proprie esigenze, ovvero per pagare costi riferiti all’attività e dunque è normale che l’importo versato possa non corrispondere a quanto introitato. Eppure, nel caso analizzato dalla CTP di Ancona, l’Ufficio ha ipotizzato incassi a nero sostenendo che gli importi delle ricevute indicate non coincidono mai con quelli dei versamenti, pur risalendo a ritroso fino al versamento precedente o, in mancanza, nei dieci giorni precedenti. La CTP ha sottolineato invece come
“(….) risulta assurdo pretendere, come fa l’ufficio, di trovare un preciso riscontro fra il versato e l’incassato, quando quest’ultimo risulta ampiamente superiore al primo. Basterà quindi considerare che il ricorrente, operando con clientela privata, incassa (in parte) in contanti, per cui deciderà di trattenere quanto necessario per le proprie esigenze personali e famigliari, senza effettuare il passaggio nel conto corrente. Se poi, a posteriori, le esigenze saranno risultate sovrastimate o posticipate, egli si ritroverà con un’eccedenza di contante che andrà a sommarsi agli incassi nel frattempo effettuati. Per dare prova di ciò occorre che venisse imposto al contribuente la tenuta del giornale di cassa non solo per le operazioni commerciali ma anche per quelle personali e famigliari: il che non risulta ancora essere stato attuato dalla normativa tributaria!”
In definitiva, la sentenza della Corte Costituzionale n.228 del 2014 rappresenta un importante spunto di riflessione per minare la validità dell’avviso di accertamento ogni qualvolta, a prescindere dall’essere il contribuente “professionista”, si sia, da un lato, in presenza di conti correnti promiscui con utilizzi personali, dall’altro in assenza di obblighi contabili o di altro genere.
I passi da seguire sono:
  • dimostrare la violazione dell’articolo 53 della Costituzione (sentenza n. 336/32/13 CTR Campania);
  • evidenziare che in assenza di obblighi contabili si rischia di attribuire al contribuente una “prova diabolica” (sentenza n. 335/17/13 della CTR Sicilia);
  • sostenere che la persona fisica naturalmente trattiene importi per i propri scopi personali, non essendo ciò vietato (sentenza n. 281/04/14 della CTP di Ancona).