Associazioni professionali sempre soggette ad Irap
di Alessandro CarlesimoIl presupposto impositivo dell’Irap è oggetto di interpretazioni, talvolta non univoche, incentrate sulla nozione di autonoma organizzazione dettata all’articolo 2 D.Lgs. 446/1997. Tale condizione oggettiva assume un significato dirimente nella definizione delle attività professionali non soggette al prelievo ai fini Irap.
L’ interpretazione stratificatasi nel tempo, sulla scorta dei numerosi arresti giurisprudenziali, porta a ritenere che il requisito organizzativo sussista laddove le attività prevedano l’impiego di mezzi strumentali eccedenti ciò che è strettamente necessario per l’esercizio della professione e/o il ricorso alla componente “lavoro” che ecceda l’ausilio di un dipendente/collaboratore con mansioni prettamente esecutive.
Al fine di accertare l’esonero dall’Irap (ovvero legittimare l’istanza di rimborso dell’Irap indebitamente versata) occorre quindi supportare la propria condotta fiscale con elementi probatori atti a dimostrare che il reddito prodotto sia frutto esclusivamente del lavoro del singolo professionista, ovvero, nel caso delle associazioni professionali e studi associati, dei singoli associati operanti in autonomia (Cassazione, n. 19403/2018).
A rilevare, ai fini dell’assoggettamento al tributo, è quindi il riscontro di una struttura in grado di fornire un contributo apprezzabile in termini creazione di valore addizionale rispetto all’opera personale resa dai singoli professionisti.
Questo fil rouge rende impossibile la dimostrazione dell’assenza di una organizzazione minimale nell’ambito degli studi associati, atteso che l’accertamento del fenomeno associativo lascia presumere, di per sè, la sussistenza di un apparato di mezzi e persone eccedente il minimo indispensabile.
In quest’ ottica, è identificabile un preciso indirizzo interpretativo che fa leva sul disposto normativo di cui all’articolo 2 D.L.gs. 446/1997, il quale prevede che “l’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto d’imposta”. Tale norma, ancorché non richiami espressamente le associazioni professionali, sembra tuttavia ricomprendere indirettamente anche gli enti equiparati alle società semplici in base all’articolo 5 Tuir.
L’elaborazione giurisprudenziale si fonda sull’assunto secondo il quale la partecipazione dei professionisti all’associazione sia, di per sé, idonea ad integrare il presupposto dell’autonoma organizzazione (Cassazione, n. 16784/2010; Cassazione, n. 7371/2016).
Stando alle pronunce della più autorevole giurisprudenza, l’esistenza del vincolo associativo dello studio rende superfluo accertare in concreto la sussistenza di un’autonoma organizzazione, essendo questa implicita nel contratto associativo, la cui conclusione denota l’intento di avvalersi della reciproca collaborazione e competenze, della condivisione di risorse e, per questa via, di una “funzione collaborativa ben censita come contributo determinante alla produzione globale lorda del reddito dei contribuenti”.
Il superamento della presunzione legale, dunque, ad un’attenta analisi delle sentenze, può aver luogo unicamente mediante la prova che il servizio realizzato dall’associazione professionale sia derivato dalla sola prestazione professionale dei singoli associati (Cassazione, n. 24058/2009; Cassazione, n. 1575/2014; Cassazione, n. 19403/2018).
Pertanto, affinché sia possibile sottrarre a tassazione Irap i proventi reddituali, occorre soddisfare l’onere della prova diretto a consentire non già la dimostrazione dell’assenza dell’autonoma organizzazione (la quale risulta insita nell’ associazione stessa), bensì l’inesistenza assoluta del fenomeno associativo.
Tale enunciazione si ricava, ex multis, anche nella recente pronuncia della Suprema Corte (Cassazione, n. 1154/2021), chiamata ad esprimersi in merito al giudizio che vedeva contrapposti l’AdE e uno studio legale di Avvocati.
In questa recente pronuncia è stato infatti ribadito che è fatta “salva la possibilità per il contribuente di fornire la prova contraria, avente ad oggetto non l’assenza dell’autonoma organizzazione nell’esercizio in forma associata, bensì l’insussistenza dell’esercizio in forma associata dell’attività stessa.”
L’elemento probatorio richiesto agli associati è quindi particolarmente gravoso, in quanto comporta la necessità di dimostrare che la ricchezza sia stata prodotta in totale indipendenza da ciascun singolo professionista, senza che quest’ultimo si sia avvalso (anche in senso mutualistico) dei benefici organizzativi derivanti dall’adesione all’associazione.