Attività di raccolta e investimento delle donazioni: detraibilità Iva
di Marco PeiroloL’attività di raccolta e di investimento delle donazioni, utilizzate per effettuare operazioni in parte esenti e in parte non soggette a Iva, non consente di esercitare la detrazione dell’imposta relativa ai costi di gestione delle donazioni, il cui investimento genera proventi utilizzati per coprire i costi di tali operazioni.
Con questo principio, reso nella causa C-316/18 del 3 luglio 2019, la Corte di giustizia UE si è pronunciata sulla portata del diritto di detrazione dell’Iva.
Il caso si riferisce all’università di Cambridge, le cui attività sono finanziate da donazioni raccolte in un fondo di dotazione gestito da un soggetto terzo.
La controversia è sorta in merito alla detraibilità dell’Iva relativa ai compensi di gestione del fondo, negata dalle Autorità fiscali inglesi in quanto riferibile esclusivamente all’attività di investimento delle risorse finanziare oggetto di donazione.
Ad ulteriore fondamento dell’indetraibilità, le Autorità fiscali hanno sostenuto che i compensi in questione non costituiscono un elemento del prezzo della fornitura di beni e servizi soggetta ad imposta, siccome i redditi generati dal fondo finanziano soltanto in parte l’attività economica svolta dall’Università, cioè quella di ricerca ai fini commerciali, di vendita di pubblicazioni, di consulenza, di ristorazione, di alloggio, nonché di noleggio di attrezzature e di materiali.
In sostanza, secondo la tesi dell’Amministrazione finanziaria inglese, la raccolta delle donazioni non rappresenta un’attività economica rilevante ai fini Iva, così come non assume carattere economico l’attività di investimento compiuta dal gestore del fondo di dotazione.
In via di principio, la detrazione dell’Iva relativa alla gestione del fondo non è ammessa in quanto riferita ad un’attività – quella di investimento delle risorse finanziarie donate – non avente carattere economico ai sensi dell’articolo 9 Direttiva 2006/112/CE.
Il dubbio sollevato dal giudice nazionale è se la detrazione sia esercitabile in considerazione dell’attività economica svolta dall’Università, a latere di quella propria dell’insegnamento, esente da imposta. Come detto, l’Università svolge, infatti, anche un’attività di ricerca ai fini commerciali, di vendita di pubblicazioni, di consulenza, di ristorazione, di alloggio, nonché di noleggio di attrezzature e di materiali, regolarmente assoggettata a Iva.
La norma oggetto di interpretazione da parte della Corte di giustizia è l’articolo 168, lett. a), Direttiva n. 2006/112/CE, che consente l’esercizio della detrazione “nella misura in cui i beni e i servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta (…)”.
In via di estrema sintesi, le questioni pregiudiziali sollevate dal giudice del rinvio sono dirette a sapere se “un soggetto passivo che svolga sia attività soggette a Iva sia attività esenti da tale imposta, che investa le donazioni e le dotazioni che riceve in un fondo, e che utilizzi i redditi generati da tale fondo per coprire i costi di tutte queste attività, è autorizzato a detrarre, a titolo di spese generali, l’Iva assolta a monte relativa ai costi connessi a tale investimento”.
Nell’analisi compiuta dalla Corte viene osservato che, per giurisprudenza costante, la detrazione può essere esercitata in due casi distinti, vale a dire:
- se sussiste un “nesso diretto ed immediato” tra una specifica operazione a monte ed una o più operazioni a valle che conferiscono il diritto alla detrazione. A tal fine, è necessario che le spese sostenute per acquistare i beni/servizi facciano parte degli elementi costitutivi del prezzo delle operazioni a valle;
- se, in assenza del predetto “nesso diretto ed immediato”, i costi dei beni/servizi facciano parte delle spese generali del soggetto passivo e, in quanto tali, siano elementi costitutivi del prezzo delle operazioni a valle. Spese di tal genere, infatti, presentano un “nesso diretto ed immediato” con il complesso delle attività economiche del soggetto passivo.
Nell’uno o nell’altro caso, l’esistenza del “nesso diretto e immediato”, indispensabile per l’esercizio della detrazione, presuppone che il costo dei beni/servizi sia incorporato, rispettivamente, nel prezzo delle operazioni a valle o nel prezzo dei beni/servizi forniti dal soggetto passivo nel contesto delle proprie attività economiche.
Per risolvere la questione, i giudici dell’Unione hanno ritenuto necessario, anzitutto, verificare se la raccolta delle donazioni e il loro investimento costituisca un’attività economica ai sensi dell’articolo 9 Direttiva n. 2006/112/CE.
Secondo la Corte, “nell’ambito della raccolta e del ricevimento di donazioni e di dotazioni, l’università di Cambridge non agisce in qualità di soggetto passivo. Infatti, per essere considerato un soggetto passivo, una persona deve esercitare attività economiche, vale a dire attività effettuate a titolo oneroso. Orbene, poiché le donazioni e le dotazioni, versate essenzialmente per motivi soggettivi, a fini caritativi e in modo aleatorio, non costituiscono la contropartita di alcuna attività economica, la loro raccolta e il loro ricevimento non rientrano nell’ambito di applicazione dell’Iva (…)”. Di conseguenza, “l’Iva assolta a monte relativa alle eventuali spese sostenute nell’ambito della raccolta di donazioni e di dotazioni, indipendentemente dal motivo per cui queste ultime sono state effettuate, non è detraibile”.
Neppure l’investimento delle risorse finanziarie raccolte dà luogo ad un’attività economica, in quanto “una tale attività di investimento finanziario non solo costituisce, per l’università di Cambridge, al pari di un investitore privato, un mezzo che consente di generare reddito a partire dalle donazioni e dalle dotazioni così raccolte, ma anche un’attività direttamente connessa alla raccolta di queste ultime, e, pertanto, costituisce unicamente il prolungamento diretto di tale attività non economica. Di conseguenza, l’Iva assolta a monte relativa alle spese inerenti a tale investimento non può essere detraibile”.
La detrazione non può essere giustificata nemmeno in base al requisito del “nesso diretto ed immediato”, in quanto i costi di gestione del fondo di dotazione non sono incorporati nel prezzo di specifiche operazioni attive effettuate dall’università e non può essere nemmeno sostenuto che i predetti costi facciano parte delle spese generali dell’università.
Come rilevato dalla Corte, risulta, infatti, che “l’università di Cambridge è un istituto di insegnamento senza scopo di lucro e che i costi in questione sono sostenuti al fine di generare risorse destinate a coprire i costi dell’insieme delle operazioni effettuate a valle da detta università, risorse che consentono, pertanto, di ridurre i prezzi dei beni e dei servizi forniti da quest’ultima”.