Attività professionale affiancata da una società di servizi: la valida causa del contratto di affitto d’azienda con opzione di acquisto
di Andrea Beltrachini di MpO & PartnersRiccardo Conti di MpO & PartnersNon è raro che il commercialista o il consulente del lavoro, ai fini dello svolgimento della loro attività, si avvalgano anche del supporto di una società di servizi, a cui delegare generalmente le prestazioni di raccolta ed elaborazione dati rispettivamente in materia contabile e giuslavoristica. La società di servizi sarà intestataria, integralmente o parzialmente, della titolarità dei rapporti e dei beni funzionali all’esercizio dell’attività: dipendenti, locazione o proprietà dell’immobile, attrezzature, utenze etc.
Ebbene, in un tale contesto l’operazione di cessione/aggregazione dell’attività viene sovente strutturata tramite la combinazione fra un contratto di presentazione/canalizzazione della clientela del professionista ed un contratto di trasferimento dell’azienda/cessione delle quote della società di servizi. In questo contributo ci si soffermerà sulla questione della valida causa, ai sensi dell’art. 1343 c.c., del contratto di affitto d’azienda con opzione di acquisto.
Perché ci si pone il tema della valida causa di tale contratto? La questione si pone, in quanto gli importi pagati a titolo di affitto d’azienda costituiscono un costo integralmente deducibile, mentre le somme pagate a titolo di acquisto dell’azienda potranno essere ammortizzate nei 18 anni a titolo di avviamento. Ne consegue che, in difetto di una valida causa del contratto, l’AE potrebbe ritenere che l’operazione strutturata tramite un affitto d’azienda con opzione di acquisto celi un intento elusivo e conseguentemente riqualificare l’operazione come una cessione d’azienda sin dall’origine.
Sul tema dell’elusione fiscale dottrina e giurisprudenza da sempre cercano di fare chiarezza. In assenza di una definizione univoca nell’ordinamento giuridico italiano, è proprio la dottrina che aiuta ad orientarsi attorno al concetto di elusione fiscale, individuando quest’attività nella riduzione del carico impositivo realizzata attraverso l’applicazione di una normativa indebita più favorevole rispetto a quella fiscalmente applicabile. È quindi necessario che sussista una valida causa, cioè una funzione economica (extra fiscale) che le parti intendono realizzare proprio con il ricorso alla fattispecie del rent to buy anziché a quella della compravendita tout court.
Ma quando sussiste una valida causa?
Uno spunto di riflessione al riguardo è offerto dalla sentenza n.52 del 16/05/2008 della Commissione Tributaria di Milano. Il Giudice, infatti, contrariamente a quanto sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, non ha rinvenuto alcun intento elusivo in un contratto col quale una società, in liquidazione ed in pendenza della richiesta di ammissione al concordato preventivo, aveva affittato 14 negozi di abbigliamento, nel quale era stata inserita una clausola secondo cui l’affittuaria, a seguito di autorizzazione giudiziale avrebbe potuto acquistare il ramo d’azienda, considerando i canoni d’affitto pagati come acconti di pagamento. Con motivazione del tutto condivisibile, i giudici meneghini avevano infatti rilevato che “la causa del contratto di affitto è proprio l’affitto stesso e non, come sostiene l’Ufficio, simulare un contratto di vendita, sia perché esso era autorizzato dal tribunale e sia perché altrimenti si sarebbe dovuto procedere alla liquidazione immediata dell’intero patrimonio della società, impedendo di fatto che il terzo aspirante acquirente conoscesse l’avviamento che rappresenta l’unico, vero e concreto interesse per acquistare un’azienda.”
Pertanto, quali sono le valide ragioni extra fiscali che possono legittimamente motivare l’utilizzo del modello del rent to buy nelle operazioni di m&a di Studi ed attività professionali? Ecco alcuni esempi:
- l’utilizzo di uno strumento contrattuale che consenta sia di accompagnare il processo di canalizzazione graduale della clientela sia di ancorare il prezzo all’effettivo trasferimento della medesima, mediante l’inserimento di una clausola di determinazione definitiva del prezzo (per la cui descrizione si rimanda alla news accessibile cliccando a questo link).
- l’esigenza di tutelare la parte cessionaria, la quale, prima di procedere all’acquisto, potrà da un lato conoscere l’azienda (come nel caso all’esame della Commissione Tributaria di Milano sopra citata) e, dall’altro, non rispondere durante il periodo di affitto dei debiti relativi all’esercizio dell’azienda ceduta ( 2560 c.c.), monitorandone l’estinzione prima dell’esercizio dell’opzione di acquisto;
- l’esigenza di tutelare la parte cedente, la quale per un certo periodo avrà la possibilità di fronteggiare eventuali inadempimenti della parte cessionaria, tramite un’azione finalizzata a richiedere la risoluzione del contratto di affitto e la restituzione dell’azienda
- esigenze di carattere economico-finanziario: spesso il (futuro) compratore è privo del capitale necessario per acquistare subito l’azienda (si consideri che solo recentemente banche, ordini e casse di previdenza hanno iniziato a fornire prestiti volti alla finalizzazione di operazioni M&A di Studi professionali);
In conclusione, non si ritiene infondato sostenere che, in astratto, nelle operazioni di m&a di Studi ed attività professionali, possano sussistere validi motivi extra-fiscali, idonei a giustificare il ricorso ad un contratto di affitto d’azienda con diritto di riscatto, avente ad oggetto l’attività esercitata dalla società di servizi di cui si avvale il professionista.