Attività professionale ed indagini finanziarie
di Marco BargagliCome noto, ai fini delle imposte sui redditi, l’articolo 32, comma 1, n. 2, D.P.R. 600/1973 contiene la disciplina sostanziale di riferimento in tema di indagini finanziarie.
In particolare, una volta acquisiti i dati bancari relativi al contribuente sottoposto a verifica fiscale, lo stesso dovrà fornire adeguata prova contraria, necessaria a vincere le presunzioni legali relative poste dalla normativa.
Il meccanismo presuntivo in rassegna prevede che:
- i versamenti non giustificati accreditati sui conti correnti del contribuente, rettificano in aumento la base imponibile in quanto considerati come maggiori elementi positivi di reddito;
- i prelevamenti effettuati non risultanti dalle scritture contabili, se non viene indicato il beneficiario delle somme, si considerano maggiori ricavi o compensi con simmetrica rettifica del reddito.
Tale ultima previsione riguarda unicamente i soggetti titolari di reddito di impresa in quanto, per i professionisti, la presunzione di redditività dei prelevamenti è stata completamente eliminata ad opera del D.L. 193/2016.
Di conseguenza, con effetto dal 3 dicembre 2016:
- non è più prevista la presunzione legale relativa ai prelevamenti non giustificati a carico dei professionisti;
- con esclusivo riguardo agli imprenditori, comprese le ditte individuali, a fronte di prelievi non giustificati di importo superiore a 1.000 euro giornalieri e a 5.000 euro mensili, opera la presunzione di evasione fiscale (articolo 32, comma 1, n. 2), D.P.R. 600/1973).
Inoltre ai fini IVA, ai sensi dell’articolo 51, comma 2, n. 2, D.P.R. n. 633/1972:
- i versamenti transitati sui conti correnti sono considerati, qualora non giustificati da parte del contribuente, cessioni di beni e/o prestazioni di servizio senza l’emissione della prescritta fattura (ipotesi di vendite in nero);
- i prelevamenti, sono considerati “acquisti senza fattura”, a meno che il contribuente non dimostri di averne tenuto conto nelle dichiarazioni, ovvero che non si riferiscono ad operazioni imponibili.
Sotto il profilo procedurale, gli organi deputati alla richiesta di dati, notizie ed elementi sul conto dei contribuenti che intrattengono rapporti o eseguono operazioni con i soggetti rientranti nella disciplina delle indagini finanziarie sono i seguenti:
- gli Uffici della Direzione Centrale Accertamento dell’Agenzia delle Entrate e gli Uffici locali della stessa Agenzia, ai sensi dell’articolo 32 D.P.R. 600/1973 e dell’articolo 51 D.P.R. 633/1972;
- la Guardia di Finanza, per effetto degli articoli 32 e 51, nonché degli articoli 33, comma 3, D.P.R. 600/1973 e 63 D.P.R. 633/1972;
- le Commissioni tributarie provinciali e regionali di cui all’articolo 1 D.Lgs. 545/1992, ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. 546/1992;
- gli Uffici locali dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, ai sensi dell’articolo 34, comma 4, D.L. 41/1995, convertito nella L. 85/1995, e ai sensi del D.L. 16/2012, modificativo dell’articolo 11, comma 4, D.Lgs. 374/1990.
In merito, gli organi di controllo possono richiedere agli enti creditizi e finanziari “dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi” (cfr. Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza (volume II – parte IV – capitolo 5, “Le indagini finanziarie nel corso dell’attività ispettiva: disciplina generale e regole procedurali” pagg. 215 e ss.).
Sul tema delle indagini finanziarie, con l’ordinanza n. 28555/17 pubblicata in data 29 novembre 2017, la suprema Corte di Cassazione si è recentemente espressa sulla rilevanza fiscale dei versamenti non giustificati transitati sui conti correnti intestati ad una persona fisica, risultanti dal processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, avente ad oggetto la determinazione del maggior reddito di lavoro autonomo, con contestuale attribuzione d’ufficio del numero di partita IVA.
Il contribuente ha presentato ricorso avverso l’avviso di accertamento, rilevando che i giudici di primo grado avrebbero omesso di constatare l’insussistenza di elementi di prova dello svolgimento di attività imprenditoriale, nonché determinato erroneamente il reddito e, simmetricamente, quantificato non correttamente la base imponibile in violazione dei principi di effettività e capacità contributiva.
In merito, gli ermellini hanno richiamato il consolidato orientamento espresso in sede di legittimità, sulla base del quale l’utilizzo dei dati acquisiti presso le aziende di credito, quali prove presuntive di maggiori ricavi o operazioni imponibili, non è subordinata alla prova che il contribuente eserciti attività d’impresa o di lavoro autonomo, “atteso che, ove non sia contestata la legittimità dell’acquisizione dei dati risultanti dai conti correnti bancari, i medesimi possono essere utilizzati sia per dimostrare l’esistenza di un’eventuale attività occulta (impresa, arte o professione), sia per quantificare il reddito da essa ricavato, incombendo al contribuente l’onere di provare che i movimenti bancari che non trovano giustificazione sulla base delle sue dichiarazioni non sono fiscalmente rilevanti”.
Quindi l’ufficio ha legittimamente operato, procedendo all’accertamento induttivo relativo alle movimentazioni bancarie in seguito all’omessa presentazione della dichiarazione annuale dei redditi.
Infine, la suprema Corte si è espressa anche in relazione alla censura mossa dal ricorrente avverso la sentenza emessa dal giudice di appello, per non aver correttamente applicato le norme in tema di presunzioni per l’accertamento induttivo di ricavi fondato sulle movimentazioni dei conti correnti bancari, lamentando dunque l’illegittima determinazione della base imponibile.
In particolare, il ricorrente ha esposto che l’accertamento dell’ufficio non è stato fondato sulle presunzioni afferenti ai soli versamenti, con conseguente inversione dell’onere della prova a carico del contribuente anche in ordine ai prelievi.
Sul punto, si ricorda che con il D.L. 193/2016 (c.d. decreto fiscale), il legislatore ha introdotto importanti novità in tema di accertamenti bancari in seguito all’orientamento della Corte Costituzionale, espresso con la sentenza 24 settembre 2014, n. 228, ove la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della presunzione di redditività dei prelevamenti nella parte riconducibile ai compensi percepiti da parte dei lavoratori autonomi.
Ciò posto, nel caso esaminato nel corso del giudizio di merito, la motivazione del giudice d’appello ha preso le mosse dal presupposto che la persona fisica oggetto di verifica aveva svolto un’attività di lavoratore autonomo, senza presentare la prescritta dichiarazione annuale dei redditi.
Per tale motivo, a parere degli ermellini, il giudice di merito non ha correttamente applicato le norme previste in tema di accertamento induttivo relativo ai dati bancari del contribuente, in quanto non ha limitato la legittimità delle presunzioni ai soli versamenti sul conto corrente, ritenendo erroneamente che il contribuente avrebbe avuto anche l’onere di fornire giustificazioni in ordine a tutte le movimentazioni bancarie, comprensive dei prelievi.
In definitiva, in accoglimento parziale del ricorso, la Corte di cassazione ha dichiarato la legittimità dell’accertamento induttivo bancario, limitatamente ai singoli versamenti effettuati sui conti correnti intestati al ricorrente e non anche ai prelevamenti.