Azienda ed export: punti di attenzione in ambito doganale
di Guido CalderaroLa lettura dei dati pubblicati a febbraio dall’Istat e riferiti al periodo gennaio-dicembre 2023 mette in evidenza una crescita del 2,5% delle esportazioni italiane (extra UE) in rapporto a quelle rilevate nello stesso periodo del 2022. La maggiore crescita percentuale si apprezza per le merci destinate in Cina (+16,8%) e in India (+7,8%) anche se in termini percentuali rappresentano solo una quota del 3,4% dell’export complessivo.
Un segno positivo, si potrebbe affermare, e che rappresenta uno spunto per analizzare come le imprese italiane si presentino di fronte alle sfide dei mercati internazionali.
Spesso si tratta di imprese che rispondono alle richieste di acquirenti esteri che vengono a fare “shopping” in Italia, senza preoccuparsi di seguire i propri prodotti nei mercati internazionali di destinazione. Le aziende più strutturate si avvalgono di una rete commerciale all’estero (diretta o indiretta) e, quindi, hanno una maggiore propensione, soprattutto nel primo caso, a curare tutti gli aspetti relativi alle esportazioni.
Nella pratica, frequentemente si osserva la disinvoltura con la quale i cedenti nazionali provvedono a concludere transazioni che riguardano proprie merci destinate all’esportazione, trattandole alla stregua di cessioni interne o unionali, trascurando gli aspetti doganali che assumono rilievo in relazione alle differenti conseguenze che possono derivare da tale impostazione.
L’esportazione è uno dei regimi doganali (o customs procedures nella versione inglese) previsti all’articolo 5, par. 1, n. 16 del Regolamento (UE) n. 952/2013 del 9.10.2013 (cd. CDU), per il quale l’esportatore deve vincolare le merci al regime (articoli 158 e 269 CDU) presentando la relativa dichiarazione di esportazione, le merci, nonché eventuali specifiche autorizzazioni o licenze all’ufficio doganale di “esportazione”. Le merci, poi, sono soggette a vigilanza doganale dall’accettazione della dichiarazione, fino a quando non escono dal territorio doganale dell’Unione.
Uno dei primi problemi che si incontrano nelle cessioni all’esportazione è quello della resa applicabile, frequentemente risolta con la scelta dell’lncoterms EXW (franco fabbrica – senza obbligo del venditore di caricare la merce sul veicolo di prelevamento, né di sdoganarla all’esportazione) da cui discende anche l’esigenza di definire chi assume il ruolo di “esportatore” ai fini doganali.
A tal riguardo il Regolamento Del. (UE) 2015/2446 della Commissione del 28.7.2015 (RD), all’articolo 1, par. 1, n. 19) individua come esportatore, nei casi diversi dal privato:
- la persona stabilita nel territorio doganale dell’Unione che ha la facoltà di decidere e ha deciso che le merci devono uscire da tale territorio doganale, o quando non applicabile;
- qualsiasi persona stabilita nel territorio doganale dell’Unione che è parte del contratto in virtù del quale le merci devono uscire da tale territorio doganale.
È di tutta evidenza che, in entrambe le ipotesi formulate dal regolatore Unionale, un requisito fondamentale è che la persona che agisce in tale ruolo sia stabilita nel territorio doganale dell’Unione, circostanza che si verifica quando una persona fisica abbia la residenza abituale o una persona giuridica o un’associazione di persone, abbiano la propria sede statutaria, l’amministrazione centrale o una stabile organizzazione nel territorio doganale dell’Unione (articolo 5, par. 31, n. 16, CDU).
Molto spesso, i cedenti che utilizzano la resa Incoterms EXW si limitano a mettere a disposizione le merci agli acquirenti (spesso non stabiliti in UE) senza interessarsi della successiva attività doganale, potendo con ciò determinare problemi (blocchi della merce e incremento dei costi non previsti) per quanto riguarda la presentazione delle dichiarazioni di vincolo al regime dell’esportazione (i trasportatori e gli operatori doganali, infatti, difficilmente intendono assumere il ruolo di esportatori in sostituzione delle parti interessate alla transazione commerciale).
Anche l’acquisizione della certificazione dell’uscita della merce dal territorio doganale dell’UE, indispensabile per provare ai fini Iva l’effettività della cessione nei casi di specie (come previsto dall’articolo 8 n. 633/1972) risulta di difficile ottenimento, laddove l’operazione doganale non sia stata curata direttamente dal cedente; lo stesso dovrà procurarsi la dimostrazione che la fattura che ha emesso compaia nella dichiarazione doganale di esportazione e sia presente il messaggio elettronico di avvenuta uscita della merce, recuperabile verificando il numero di MRN che identifica la dichiarazione sul sito dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli alla sezione Servizi digitali “Notifica di esportazione del M.R.N. (Movement Reference Number)”. Il problema si presenta nella sua complessità, anche quando il trasporto o la spedizione di beni fuori del territorio dell’UE, non sia stato fatto a cura o a nome del cedente. Senza dilungarsi in questa sede sulla tematica, la mancanza della certificazione dell’uscita della merce entro 90 giorni dallo svincolo (articolo 335 del Regolamento Esec. (UE) 2015/2447 della Commissione del 24.11.2015 – RE) richiede un intervento attivo del dichiarante per fornire all’ufficio doganale di esportazione la prova che le merci abbiano lasciato il territorio doganale dell’Unione.
È opportuno ricordare che le conseguenze, in assenza della prova dell’avvenuta esportazione, si sostanziano nell’applicazione della sanzione amministrativa, prevista dall’articolo 6, comma 1, D.Lgs. 471/1997, compresa fra il 90% e il 180 % dell’Iva relativa alla merce ceduta non «appurata»; per le cessioni con trasporto o spedizione fuori del territorio dell’UE entro novanta giorni dalla consegna, a cura del cessionario non residente o per suo conto, l’articolo 7, comma 1, D.Lgs. 471/1997, prevede sanzione amministrativa dal 50% al 100% dell’Iva relativa; ovviamente per entrambe le sanzioni si dovrà procedere al recupero dell’Iva stessa.
Presupposto indefettibile per una corretta esportazione è, poi, la “classificazione tariffaria delle merci” che consiste nel determinare una delle sottovoci o ulteriori suddivisioni della nomenclatura combinata (NC) in cui le merci devono essere classificate (art. 56 del CDU); la nomenclatura combinata (NC) è prevista dal Reg. (CEE) n. 2658/87 (emanato in adesione alla Convenzione internazionale sul sistema armonizzato di designazione e codificazione delle merci – Convenzione SA – in vigore dall’1.1.1988 e annualmente aggiornato).
La corretta classificazione costituisce anche la base per la verifica delle misure non tariffarie, che dovrebbero essere sempre tenute in stretta evidenza dagli operatori economici e che possono riguardare:
- standard tecnici, etichettatura, imballaggio e requisiti di qualità (quali ad esempio norme sulla sicurezza alimentare o specifiche tecniche per prodotti elettronici);
- quote, che limitano la quantità di beni che possono essere esportati;
- divieti di esportazione, che impediscono l’esportazione di determinati beni;
- misure sanitarie e fitosanitarie;
- controlli dei prezzi, che regolano i prezzi dei prodotti esportati;
- altre regolamentazioni specifiche per settori o prodotti.
La difficoltà e complessità della classificazione tariffaria nei casi controversi dovrebbe, poi, essere supportata attraverso il ricorso alle Informazioni Tariffarie Vincolanti (Decisioni ITV), previste dall’articolo 33 CDU (per il vero poco richieste dagli operatori in Italia rispetto ad altri paesi dell’UE), che mantengono la loro validità per un periodo di tre anni senza poter essere disconosciute dalle autorità doganali di tutta l’UE e che consentono di avere certezza sulla nomenclatura combinata attribuibile ad un bene.
Tra i controlli sulle esportazioni che contribuiscono alla sicurezza internazionale – e che incidono sul commercio con i Paesi terzi – meritano particolare attenzione le disposizioni relative ai beni suscettibili di duplice uso (civile e militare – cd. beni dual-use) soggetti al Regolamento (UE) 2021/821 del 20.5.2021, che richiedono una preliminare e attenta analisi da parte degli esportatori.
Non meno importanti sono i controlli necessari per effetto delle misure restrittive nei confronti di determinati Paesi terzi assoggettati ad embargo commerciale sulla base dell’articolo 215 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, tra le quali vale pena di accennare in questa sede quello più attuale nei confronti della Russia previsto dal Regolamento (UE) N. 833/2014 del Consiglio del 31.7.2014, aggiornato a dicembre con il 12° pacchetto di sanzioni. In base a tale regolamento agli operatori dell’UE è richiesta l’adozione di adeguate procedure di due diligence per garantire che le loro esportazioni che riguardano merci sanzionate per la Russia non vengano dirottate verso tale nazione.
Oltre alle misure nei confronti della Russia, in ambito UE sono attualmente in vigore oltre 40 regimi sanzionatori che derivano da decisioni ONU o sono imposti in modo autonomo.
Particolare attenzione va, inoltre, rivolta all’esportazione di materiali d’armamento e di prodotti per la difesa elencati nell’allegato alla direttiva 2009/43/CE che trovano la loro disciplina nella L. 185/1990, ma anche alle merci che potrebbero essere utilizzate per la pena di morte, per la tortura o per altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, disciplinate dal Regolamento (UE) 2019/125 del 16.1.2019.
Pesanti sanzioni di carattere penale sono previste dagli articoli dal 18 al 20, D.Lgs. 221/2017, in caso di inosservanza dei diversi obblighi previsti anche per gli esportatori.
Molte altre normative non meno importanti assumono rilevanza in caso di esportazione e devono essere considerate dagli esportatori, che per brevità di trattazione non esamineremo in questo contesto, tra le quali per citarne una il Regolamento (CE) n. 338/97 del 9.12.1996 relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche.
La disamina degli aspetti in precedenza citati evidenza la necessità di un’ampia consapevolezza negli esportatori dei propri obblighi e responsabilità e che devono essere risolti attraverso un impegno dell’alta dirigenza verso la compliance, una formazione e sensibilizzazione del personale, un’adeguata struttura organizzativa (gli adempimenti sono spesso lasciati alla sensibilità di differenti dipendenti non coordinati tra di loro), adeguate procedure interne che descrivono i processi e la preliminare analisi e valutazione dei rischi. Proprio quest’ultima costituisce una necessità dell’azienda che lavora per processi ed è mirata ad individuare e registrare tutti i rischi che ne possono compromettere l’affidabilità, definire le modalità adeguate per eliminarli o gestirli, fornire ai dipendenti e collaboratori i mezzi, gli strumenti, le informazioni e la formazione adeguati e necessari per garantire il corretto funzionamento e monitoraggio dei processi con particolare riguardo a quelli che hanno un impatto diretto e indiretto, nell’ambito della tematica che ci interessa, per gli aspetti doganali intesi in senso ampio. Al documento di valutazione dei rischi doganali, quindi, il compito di costituire la base per la tutela dell’esportatore, ma più in generale dell’impresa.