Bancarotta fraudolenta ed omissione nella tenuta della contabilità
di Luigi FerrajoliCon la sentenza n. 11115 depositata il 16 marzo 2015 dalla Corte di Cassazione, è stato chiarito che risponde per il reato di bancarotta fraudolenta documentale, ai sensi del disposto normativo di cui all’art.216, co.1, n. 2, l.f., l’imprenditore che omette di tenere la contabilità della società, tanto da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio della fallita, qualora venga accertato che lo scopo dell’omissione sia stato quello di recare pregiudizio ai creditori sociali; diversamente, infatti, la condotta rileverebbe come mera bancarotta semplice, ai sensi dell’art.217, co.2, l.f..
Nel caso specifico esaminato dalla Corte, il GUP del Tribunale di Roma aveva emesso sentenza di non luogo a procedere nei confronti di un imprenditore, in relazione al richiamato reato di bancarotta fraudolenta documentale, per avere, il medesimo, tenuto irregolarmente le scritture contabili, nel triennio precedente il fallimento.
La Procura della Repubblica aveva quindi proposto ricorso in Cassazione deducendo l’errata applicazione della legge penale, atteso che la sentenza impugnata aveva prosciolto l’imputato per difetto del dolo specifico, e cioè per la mancanza dello scopo di recare pregiudizio ai creditori.
A mente dell’art. 216, co.1, n. 2, l.f., si rammenta come sia punito con la reclusione da tre a dieci anni, l’imprenditore dichiarato fallito che, da un lato, ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili e, dall’altro, che ha tenuto detta contabilità in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.
Orbene, dalla lettura della citata disposizione normativa si evince che nella fattispecie medesima non è espressamente contemplata l’ipotesi dell’omessa tenuta dei libri e delle scritture contabili che invece figura nell’ambito della bancarotta semplice documentale di cui all’art.217 co.2 l.f., in forza del quale è punito con la pena della reclusione da sei mesi a due anni il fallito che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall’inizio dell’impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta.
I giudici della quinta sezione penale, a tal proposito, hanno evidenziato come secondo il “consolidato insegnamento” della Suprema Corte, nella fattispecie della bancarotta fraudolenta debba essere ricondotta anche l’ipotesi di omissione della tenuta dei libri contabili, in quanto la relativa norma incriminatrice, punendo l’imprenditore che tiene la contabilità in modo tale da rendere impossibile la ricostruzione dello stato patrimoniale e del volume d’affari, a maggior ragione, intende punire anche colui che non ha istituito la suddetta contabilità, anche solo per una parte della vita dell’impresa (in tal senso: Cass. Pen. n. 6769/06 e n. 32173/09).
Per distinguere detta fattispecie dalla bancarotta documentale semplice di cui all’art.217, co.2, l.f., la Corte ha ritenuto che l’elemento distintivo debba essere ricercato nel contesto dell’elemento soggettivo.
Invero, fermo il dolo specifico per le condotte di sottrazione, distruzione o falsificazione, l’ipotesi fraudolenta in questione richiederebbe il semplice dolo generico, ossia la coscienza e volontà dell’omissione o della confusa tenuta della contabilità accompagnata dalla consapevolezza che ciò renderà o potrà rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio (in considerazione della locuzione “in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari” che connota la condotta e non la volontà dell’agente e permette di escludere la configurazione del dolo specifico – v. Cass. Pen. n. 29161/2011 e n. 37436/2014).
Quanto all’ipotesi della bancarotta semplice (punibile a titolo di dolo o di colpa), la medesima si configura sia che l’agente, consapevole dell’obbligo della tenuta (regolare) dei libri e delle scritture, ometta di tenerli (o di tenerli regolarmente), sia che l’obbligato ometta di tenerli (o di tenerli regolarmente) per negligenza o ignoranza delle disposizioni di legge.
Poiché, sulla base dai tali assunti, ci si potrebbe trovare di fronte ad un confine decisamente labile tra le due fattispecie di bancarotta, la Suprema Corte ha quindi statuito che, al fine di collocare l’omessa tenuta delle scritture contabili nell’ambito delle condotte rilevanti per la fattispecie di bancarotta fraudolenta ex art.216, co.1, n. 2, l.f., è necessario provare che lo scopo dell’omissione da parte del fallito sia stato quello di recare pregiudizio ai creditori, al pari di quanto richiesto per le condotte di sottrazione, distruzione o falsificazione. Se così non fosse, risulterebbe impossibile distinguere tale fattispecie da quella – analoga sotto il profilo materiale – prevista dall’art.217, co.2 l.f..