Beneficiario italiano di trust esteri: il regime impositivo legale, di prassi e nelle visioni distorte degli interpreti
di Ennio Vial
Come si tassano i frutti di un trust non residente in capo ad un beneficiario fiscalmente residente in Italia? La domanda appare tutt’altro che scontata essendosi susseguite nel tempo diverse interpretazioni da parte degli interpreti e dell’Agenzia delle Entrate.
Il punto 4.1. della C.M. n.48/2007 evidenzia che il trust non residente, che è soggetto passivo Ires per i soli redditi prodotti in Italia, imputa per trasparenza tali redditi. Secondo la citata circolare tale precisazione si è resa necessaria per coordinare la tassazione per trasparenza del trust con la natura del reddito attribuito al beneficiario, che è considerato reddito di capitale.
A questo punto ci si deve chiedere come debbano essere tassati i redditi prodotti all’estero in caso di beneficiari individuati. Poiché la circolare sembra escludere l’imputazione per trasparenza, sembrano ipotizzabili due soluzioni:
• i redditi sono tassati dai beneficiari secondo un criterio di cassa;
• i redditi non sono tassati.
Seguendo la prima impostazione, sostenuta da taluna dottrina, il trust estero verrebbe assimilato ad una società di persone. Infatti, le società di persone estere, a prescindere che siano considerate trasparenti o meno nello stato della fonte, sono in ogni caso considerate opache in Italia ai sensi dell’art.73 co.1, lett. d) per cui la tassazione avverrà negli esercizi successivi alla produzione del reddito ossia in quelli in cui verranno operati i prelevamenti. Questa tesi, che come abbiamo visto è sostenuta, consapevolmente o inconsapevolmente da taluna dottrina, non è condivisa da chi scrive.
Bisogna, infatti, ricordare che l’art.44 del tuir stabilisce che costituiscono redditi di capitale gli utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società ed enti soggetti all’imposta sul reddito delle società. L’articolo 45 co.1, stabilisce che gli stessi sono tassati per cassa e l’art.47, co.1, prevede un concorso alla base imponibile limitatamente al 40% (49,72%) del loro ammontare.
La non condivisibilità della tesi esposta trova motivazione in diversi spunti. Innanzitutto è discutibile che le attribuzioni ricevute da un trust possano essere qualificate come “utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società ed enti”. Inoltre, la norma di riferimento è piuttosto la lettera g sexies) del medesimo art.44.
La soluzione al problema veniva forse fornita dalla stessa Agenzia, con la C.M. n.48/2007, laddove precisava che il trust non residente è soggetto passivo Ires per i soli redditi prodotti in Italia ed imputa per trasparenza tali redditi ai soli beneficiari residenti, quali titolari di redditi di capitale.
Sembrava quindi che l’imputazione per trasparenza ad un beneficiario residente potesse intervenire solamente sui redditi prodotti in Italia. Ora, poiché abbiamo visto come si debba escludere una tassazione dei beneficiari residenti col principio di cassa, si doveva giungere alla conclusione che i beneficiari non erano in ogni caso tassati sui redditi prodotti all’estero da un trust non residente.
Quindi, un beneficiario residente di un trust estero poteva essere tassato in Italia solo se:
- il trust era trasparente;
- e limitatamente ai redditi da questo prodotti nel nostro Paese.
La conclusione appare tutt’altro che strana in quanto assimila legittimamente il profilo impositivo dei beneficiari di un trust residente al caso della tassazione dei frutti provenienti da un trust non residente: l’opacità del trust esclude la tassazione per trasparenza.
Su questa discussione si è tuttavia innestato l’orientamento dell’Agenzia espresso nella circolare n.61/2010. Evidenziamo da subito come le tesi sostenute dall’Agenzia non trovino riscontro nel dato normativo.
Si precisa, infatti, che qualora il reddito imputato ai beneficiari residenti sia stato prodotto dal trust in Italia e quivi già tassato ai sensi dell’art.73 del Tuir, lo stesso non sconterà ulteriore imposizione in capo ai beneficiari. Argomentando a contrariis, tuttavia, sembra che se il reddito non è tassato in Italia in capo al trust, scatti automaticamente la trasparenza, pur in presenza di una discrezionalità del trustee. Dalla lettura, infatti, emerge che “reddito imputato” non coincide con trust trasparente.
La questione si complica ulteriormente proseguendo nella lettura in quanto, l’Agenzia espone la ratio sottostante alla sua interpretazione. Lo scopo dell’interpretazione è di assicurare che il trust estero venga assoggettato a tassazione analogamente ai trust italiani e, in particolare, ai trust opachi con riferimento all’eventuale reddito prodotto in Italia ed imputabile al trust medesimo, nonché ai trust trasparenti con riferimento alla quota di reddito imputabile al beneficiario italiano.
Che l’Agenzia abbia invece ipotizzato una nuova forma di trasparenza lo si desume dalla parte finale del paragrafo dove si afferma che il regime proposto evita il conseguimento di indebiti risparmi di imposta che potrebbero essere conseguiti, ad esempio, nell’ipotesi di trust opachi costituiti in giurisdizioni straniere a regime fiscale agevolato.
Riteniamo comunque che la nuova trasparenza per i trust opachi esteri differisca da quella italiana. Infatti, la C.M. n.61/2010 parla di imputazione dei redditi. Ciò significa che la tassazione in capo al beneficiario pur prescindendo da una determinazione del diritto alla percezione dei frutti nell’atto istitutivo, necessiti comunque di una imputazione di tale reddito.