11 Marzo 2021

Beni immateriali: la tutela giuridica legittima la rivalutazione

di Alessandro Carlesimo
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L’articolo 110 D.L. 104/2020 ha introdotto la possibilità di rivalutare i beni delle imprese Oic adopter risultanti dal bilancio chiuso al 31 dicembre 2019, in deroga agli ordinari criteri di valutazione previsti dall’articolo 2426 cod. civ. e dai Principi Contabili.

La rivalutazione può, in via opzionale, assumere rilevanza fiscale a costi relativamente contenuti, mediante il prelievo con imposta sostitutiva ad aliquota ridotta del 3%.

Concentrando l’attenzione sulla nozione di bene rivalutabile, il regime individua i seguenti elementi patrimoniali:

  • beni materiali ammortizzabili e non ammortizzabili (ad esclusione di quelli alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività d’impresa);
  • attività immateriali rappresentate da beni giuridicamente tutelati (cfr. circolare 14/E/2017);
  • partecipazioni, costituenti immobilizzazioni finanziarie, in società controllate o collegate.

Di converso, restano esclusi dal novero dei beni rivalutabili le seguenti attività:

  • avviamento e oneri pluriennali, trattandosi di beni privi di autonomia giuridica (salva la possibilità di applicare la disciplina del riallineamento di cui al comma 8 dell’articolo 110 D.L. 104/2020);
  • partecipazioni non di controllo o di collegamento;
  • partecipazioni iscritte nella voce CIII destinata ad accogliere le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni.

Ulteriori due condizioni sono espressamente richieste dalla legge:

  • la detenzione del bene a titolo di proprietà;
  • l’ iscrizione del bene nel bilancio chiuso al 31.12.2019.

Il requisito dell’iscrizione in bilancio è stato di recente approfondito dalla DRE della Lombardia nella risposta all’interpello n. 904-2406/2020.

Nella vicenda de quo, l’Amministrazione veniva interrogata in ordine alla possibilità di applicare la disciplina rivalutativa al know how internamente generato, rappresentato da informazioni/esperienze industriali segrete e, come tali, meritevoli di tutela giuridica, allorché tali elementi, pur aventi utilità pluriennale ed essendo suscettibili di valorizzazione economica, non fossero mai stati capitalizzati nell’attivo patrimoniale in quanto i relativi costi risultavano contabilizzati indistintamente tra le voci del conto economico degli esercizi di sostenimento.

Sic et sempliciter, il contribuente chiedeva se la tutela legale di cui gode il patrimonio conoscitivo in possesso dell’azienda potesse di per sé essere sufficiente a legittimare la rivalutazione sia civilistica che fiscale ex articolo 110 D.L.104/2020, surrogando il requisito della formale rappresentazione nel bilancio del know how.

Per comprendere la ratio sottostante il parere fornito dall’Agenzia, occorre preliminarmente ripercorrere l’assetto normativo applicabile all’istituto in commento, per espresso rinvio di legge.

In proposito, il requisito dell’iscrizione nell’attivo incontra alcune deroghe rinvenibili nell’articolo 2 D.M. 162/2001. Nella disposizione, in particolare, si riconosce anche la possibilità di rivalutare i beni il cui valore netto contabile è nullo.

La norma si riferisce, segnatamente, ai beni completamente ammortizzati ed a quelli di valore unitario inferiore a 516,46 euro il cui onere è stato imputato integralmente al conto economico.

Inoltre, con riferimento ai beni che hanno esaurito la residua possibilità di impiego, si opera un distinguo che tiene conto della diversa tecnica contabile che solitamente distingue l’ammortamento dei beni di diversa natura: si prevede infatti che possano essere rivalutati i beni materiali completamente ammortizzati, iscritti nel bilancio, il cui valore è integralmente abbattuto dal fondo ammortamento (per effetto dell’applicazione del metodo di rettifica fuori conto), ed i beni immateriali, completamente ammortizzati, purché siano “tutt’ora tutelati ai sensi delle vigenti disposizioni in materia”, indipendentemente dall’istituzione o meno del fondo rettificativo.

In questo modo, vengono pacificamente ammessi al regime anche gli asset immateriali legalmente riconosciuti ed integralmente ammortizzati mediante il processo di ammortamento “in conto”, metodo che porta all’azzeramento diretto del valore bene che, al termine della vita utile, non è più rinvenibile nei conti dell’attivo fisso accesi a costi pluriennali.

Tale assunto porterebbe a ritenere, in via analogica, rivalutabili anche i costi di quegli asset immateriali che, parimenti, non risultano nel bilancio in quanto mai iscritti nell’attivo.

Su questa falsariga l’Agenzia, preso atto dell’attitudine dei beni a ricevere la protezione legale (sia nell’esercizio chiuso al 2019 che in quello chiuso al 2020), ha accolto la soluzione proposta dall’interpellante, estendendo la rivalutazione non soltanto ai beni non presenti nell’attivo dello stato patrimoniale per cause legate al completamento dell’ammortamento, ma anche agli intangibili (muniti di tutela giuridica) non risultanti in bilancio poiché i relativi costi non sono stati mai capitalizzati.

A contrariis, ne deriverebbe una disparità di trattamento rispetto ai beni di valore inferiore a 516,46 euro, anch’essi mai sospesi nell’attivo e transitati direttamente a conto economico (in virtù della deroga precedentemente accordata dall’OIC 16).

Dunque, la posizione dell’Ufficio sembra discostarsi dalle precedenti conclusioni cui giungeva l’Amministrazione nel 2004 (risposta a interpello n.954-394/2004), in cui veniva negata la rivalutazione di beni immateriali “spesati” al conto economico, sul presupposto che gli stessi potessero assumere consistenza economica soltanto laddove l’impresa valutasse, all’atto della rilevazione iniziale, la funzione pluriennale, procedendo a ripartirne il costo in più esercizi.

Nella fattispecie più recente, invece, si è ritenuto che il rilievo giuridico del bene costituisca un indizio idoneo ad integrare la prova legale dell’esistenza di risorse identificabili e valorizzabili sotto il profilo economico.

Tuttavia, l’incontestabilità di un siffatto assetto di regole meriterebbe una opportuna conferma in sede nazionale, diretta a sgombrare il campo da ogni dubbio interpretativo in ordine alla possibilità di rivalutare beni immateriali non capitalizzati, ma potenzialmente capitalizzabili in virtù della loro utilità pluriennale, nonchè del riconoscimento giuridico che gli viene attribuito.