Bonus alberghi anche per l’agriturismo?
di Luigi Scappini“Gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi” – Matteo 20, 1-16.
Ha finalmente trovato attuazione il credito di imposta, introdotto con l’articolo 10 del D.L. n. 83/2014, concesso, in prima approssimazione, alle strutture alberghiere, in riferimento a interventi di ristrutturazione. Infatti, il decreto 7 maggio 2015, attuativo del credito, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 17 giugno 2015.
Scopo dichiarato del credito è quello di permettere alle strutture turistiche di migliorare la qualità delle propria offerta ricettiva, tuttavia, tale possibilità viene concessa esclusivamente alle imprese alberghiere esistenti al 1° gennaio 2012, il che sta a significare, salvo interpretazioni diverse da parte dell’Agenzia delle Entrate, che, condizione discriminante è l’esistenza dell’azienda, mentre la struttura ricettiva, che sarà oggetto di interventi agevolabili, ben può essere entrata nella sfera della stessa in un periodo successivo.
Nello specifico, l’articolo 2 del decreto definisce la struttura alberghiera come “una struttura aperta al pubblico, a gestione unitaria, con servizi centralizzati che fornisce alloggio, eventualmente vitto ed altri servizi accessori, in camere situate in uno o più edifici. Tale struttura è composta da non meno di sette camere per il pernottamento degli ospiti. Sono strutture alberghiere gli alberghi, i villaggi albergo, le residenze turistico-alberghiere, gli alberghi diffusi, nonché quelle individuate come tali dalle specifiche normative regionali”.
Ecco che allora ci si può porre la domanda se gli agriturismi rientrino o meno nell’agevolazione in quanto l’articolo 2 della legge n. 96/2006, la cosiddetta Legge quadro dell’agriturismo, si limita a definire come tali “le attività di ricezione e ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile, anche nella forma di società di capitali o di persone, oppure associati fra loro, attraverso l’utilizzazione della propria azienda in rapporto di connessione con le attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento di animali”.
Ne deriva che, limitando l’analisi al dato letterale, l’agriturismo non dovrebbe rientrare nella definizione di cui all’articolo 2, salvo verificare caso per caso la definizione che ne viene data a livello regionale.
Infatti, è bene ricordare come la Legge n. 96/2006 si limiti a delimitare il perimetro generale degli agriturismi, rimandando, di fatto, alle singole Regioni l’individuazione delle caratteristiche specifiche che gli stessi debbono avere, soprattutto in termini di rispetto della prevalenza. E proprio questa potrebbe essere la chiave di volta del busillis, in quanto bisogna sempre avere a mente che le attività connesse, quale è, ai sensi dell’articolo 2135 codice civile quella dell’agriturismo, riconducibile a pieno titolo tra “le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”, sono in tutto e per tutto attività commerciali che per fictio iuris vengono considerate quali agricole al rispetto di determinati requisiti sia civilistici che fiscali.
Sintetizzando i requisiti in quelli dell’unisoggettività e della prevalenza, in questa sede, quel che preme evidenziare è la circostanza che, in ipotesi di non rispetto di tali parametri, l’attività si considera quale commerciale e quindi l’agriturismo in quanto struttura, potrebbe rientrare a pieno titolo tra quelli di cui all’articolo 2 del decreto richiamato.
Tuttavia, non si può non segnalare come, per quanto concerne altri tributi quali ad esempio la Tarsu e la tariffa idrica, non sempre gli agriturismi vengono in tutto e per tutto ricondotti tra le strutture alberghiere.
Sul punto consta un unico arresto della giurisprudenza di legittimità che, con la sentenza n.8851 del 13 aprile 2007 ha avuto modo di affermare che “l’inquadramento dell’attività agrituristica in quella agricola è subordinato alla condizione che l’utilizzazione dell’azienda agricola a fine di agriturismo sia caratterizzata da un rapporto di complementarità rispetto all’attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento del bestiame, che deve comunque rimanere prevalente”. In ragione di ciò, nel momento in cui sono rispettati i detti parametri, all’attività di agriturismo, in quanto attività agricola connessa, deve essere applicata la tariffa idrica agricola corrispondente e non già quella per l’utenza alberghiera.
Dal che sembrerebbe dedursi che l’agriturismo abbia una natura bifronte: quando rispetta i parametri richiesti dalla normativa civilistica principale e derivata (intesa come normativa regionale cui la Legge n. 96/2006 rimanda) non potrà fruire del bonus alberghi, mentre nel momento in cui gli stessi vengono meno esso deve essere considerato quale albergo e in quanto tale passibile di agevolazione.
Tuttavia a deporre per una soluzione negativa vi è anche il requisito, ricordato in premessa, richiesto sia dall’articolo 10 istitutivo del credito che dall’articolo 3 del decreto attuativo, che l’impresa alberghiera sia esistente al 1° gennaio 2012 e nel caso di agriturismo siamo in presenza di un’impresa agricola vocata alla ricezione e all’ospitalità, ma pur sempre in primis svolgente l’attività, alternativamente, di coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento del bestiame o produzione di vegetali.