Breve considerazione circa la prova del regolare svolgimento della vita associativa nelle ASD
di Guido MartinelliMattia CornazzaniNell’espletamento dell’attività accertativa afferente agli enti non commerciali ed in particolare alle ASD, l’Amministrazione finanziaria compie rigorosi controlli finalizzati a verificare la sussistenza di un effettivo e regolare svolgimento della vita associativa.
Attraverso il detto controllo – imprescindibile al fine di identificare i requisiti di permanenza del regime fiscale di riferimento – l’Amministrazione finanziaria trae altresì preziosi elementi per ricostruire e riportare a tassazione il reddito del soggetto accertato, quando a quest’ultimo sia contestata – in concreto – una natura giuridica diversa da quella risultante dal dato formale.
In proposito pare opportuno segnalare una recente sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Roma, sez. XIV, n. 1002/14 pronunciata il 21 gennaio 2014 e pubblicata il 19 febbraio 2014, in cui il Collegio – in accoglimento delle doglianze del ricorrente, a cui veniva contestato l’esercizio di attività imprenditoriale sotto la veste giuridica di ASD – conferma la sentenza di primo grado appellata dall’Ufficio. I giudici di secondo grado, in piena adesione all’approccio del collegio di prime cure, rilevano che le argomentazioni degli appellati, secondo le quali trattasi ad ogni effetto formale e sostanziale di associazione sportiva dilettantistica e che, in ogni caso, e solo in via di mera ipotesi, poteva trattarsi di ente non commerciale svolgente anche attività commerciale, ma certamente non di società di fatto, possono essere sostanzialmente condivise. “Ed invero, gli elementi indiziari rilevati dalla Guardia di Finanza e dall’Ufficio relativi alla presunta distribuzione degli utili, alla mancata tenuta del libro soci, alla ipotizzata mancata partecipazione dei soci alla vita sociale, alle modalità di assunzione della qualità di socio, alla presunta omessa indicazione del termine dilettantistica nella ragione sociale dell’associazione (…) non appaiono tali da accreditare la convinzione che l’associazione in parola possa essere considerata un ente commerciale/ società di fatto. Nel caso di specie viene in rilievo, in primo luogo, il dato formale dato dallo statuto e dalla iscrizione dell’associazione al CONI (che esplica anche funzione di controllo e di vigilanza) e dall’affiliazione alla FIN ed all’UISP, sempre come associazione sportiva dilettantistica senza fini di lucro. (…) né può essere considerata decisiva la circostanza della mancata tenuta del libro soci, anche in considerazione del fatto che l’elenco nominativo era disponibile in formato elettronico. Allo stesso modo non può assumere rilevanza la presunta mancata partecipazione dei soci alla vita sociale, considerato che comunque la convocazione delle assemblee avveniva mediante l’affissione dei relativi avvisi in bacheca. Neppure appare decisiva la mancata indicazione della locuzione dilettantistica nella ragione sociale dell’associazione, trattandosi di un elemento meramente formale che non può incidere sulla natura sostanziale dell’associazione stessa”.
L’approccio del Collegio nella valutazione degli elementi attinenti all’effettività dello svolgimento di una regolare vita associativa merita di essere condiviso per la forte aderenza al dato reale: del resto l’ipotesi più ricorrente, o addirittura dominante, è proprio quella dell’associazione sportiva dilettantistica che vive e/o sopravvive grazie all’impegno ed alla dedizione di pochi associati, i quali si dividono i compiti di una “maldestra” amministrazione in seno ad assemblee pressoché deserte. In tali casi, il rischio di commettere errori ed irregolarità dalle conseguenze anche gravi è assai elevato e, per tale motivo, si condivide l’approccio del giudice che, caso per caso, dimostra di valutare dal punto di vista sostanziale il requisito dell’effettivo svolgimento di una vita associativa.
Un caso emblematico è riportato nella sentenza della C.T.R. di Cagliari, sez. I, n. 227/14 pronunciata il 17 aprile 2014 e pubblicata il 25 giugno 2014. In questa sede il Collegio – ritenuto insussistente il requisito del regolare svolgimento della vita associativa – accoglie la tesi dell’Ufficio, il quale contestava alla ricorrente la qualifica di ASD e, sulla base di elementi concreti, rilevava che quest’ultima svolgesse attività commerciale nella forma della società di fatto. Nella richiamata sentenza si rileva che: “È pure vero che di regola, nelle associazioni, l’assemblea è validamente costituita quale che sia il numero dei soci che partecipano ad essa. Ma la CTP ha valutato – e questo Collegio condivide tale osservazione – che (…) la partecipazione alle assemblee dei soli presidente e segretaria della pretesa associazione i quali, come risulta dagli atti, sono legati da rapporto di coniugio; il furto di non meglio precisati libri sociali, l’assenza dei verbali delle riunioni del consiglio direttivo, le accertate irregolarità nel trattamento tributario di prestazioni rese da terzi hanno correttamente indotta la stessa (la CTP, ndr) a rifiutare la qualifica di associazione sportiva dilettantistica e, quindi, a non riconoscere alla stessa i benefici previsti per tali enti”.