Buon compleanno Marinella
di Chicco RossiDomanda: alzi la mano chi non conosce le cravatte di Marinella?
Oggi andiamo a Napoli e con l’occasione, dopo aver passeggiato allegramente per la Riviera di Chiaia, punteremo dritti verso Palazzo Reale dove potremo ammirare la mostra dedicata al re indiscusso delle cravatte.
Ma non solo, perché Marinella vuol dire gentilezza in tutte le sue manifestazioni.
Ricordo ancora quando sono andato la prima volta, una ventina di anni fa, in quel di Napoli con l’intento di acquistare la mia prima cravatta di Marinella (che tra le altre cose posseggo ancora). Mi immaginavo un negozio alla moda trasudante lusso e invece niente di tutto questo.
L’entrata è stretta come lo è il negozio dove, se non si è fortunati, si può mettere in pratica una delle tante mischie che abbiamo ammirato guardando il 6 Nazioni. A volte si trova anche la coda fin fuori dal negozio ma in questo caso, ecco che si manifesta nella sua pienezza della famiglia Marinella che gentilmente offre il caffè.
Ma per chi non ama il rischio, si può sempre andare nel vicinissimo atelier per scegliere la seta con cui farsi preparare una cravatta su misura (e non pensiate che il prezzo esorbiti).
Come detto Marinella festeggia i suoi primi 100 anni e quindi si è regalato un gran compleanno con una serata tutta dedicata al San Carlo e la mostra “Un secolo di Storia, cento anni di Stile” a Palazzo Reale di Napoli, e quindi quale occasione migliore per unire l’utile al dilettevole?
Il Palazzo è stata una residenza della casa reale dei Borbone di Napoli durante il Regno delle Due Sicilie (le altre sono la reggia di Capodimonte, quella di Caserta e quella di Portici) e si affaccia su piazza del Plebiscito.
Quindi tappa forzata, prima di arrivare in piazza del Plebiscito è fermarsi in Piazza Trento e Trieste, angolo Via Chiaia a rifocillarsi con una commuovente sfogliatella riccia presa obbligatoriamente da Gambrinus, caffè storico dove si respira ancora il fascino di un tempo che fu e che purtroppo non tornerà più.
E se avete un po’ di tempo, di rigore è una breve deviazione per arrivare nella Via Toledo di Renato Carosone destinazione Gay Odin, leggendaria cioccolateria di Napoli, fondata dall’intrepido Isidoro Odin, un giovane cioccolatiere di Alba “emigrato” all’incontrario.
Si entra e ci si presenta davanti il trionfo del cioccolato in tutte le sue espressioni, ma noi cosa andiamo a comprare? Liquirizia (sempre grazie Alessandro per l’imbeccata) forte a pezzi: sublime.
A questo punto abbiamo fatto scorta di energie e calorie e possiamo proseguire per la passeggiata verso il Palazzo che si esprime in tutta la sua grandiosità e magnificenza.
Il palazzo, commissionato dall’allora viceré Fernando Ruiz de Castro, VI conte di Lemos, fu eretto nel ‘600 al fine di ospitare il re di Spagna Filippo III.
Il palazzo ha subito nel tempo varie modifiche in ragione dei regnanti del periodo, infatti, tra il 1806 e il 1815 Gioacchino Murat e Carolina Bonaparte lo arricchirono con alcune decorazioni provenienti dalle Tuileries.
Ma è con Umberto I di Savoia che la facciata subisce delle modifiche consistenti nell’apertura di tante nicchie quanti furono i capostipiti delle dinastie dei sovrani che hanno regnato su Napoli. In questo modo oggi si possono ammirare le statue di Ruggero il Normanno, Federico II di Svevia, Carlo I d’Angiò, Alfonso V d’Aragona, Carlo V d’Asburgo, Carlo III di Spagna, Gioacchino Murat e ovviamente Vittorio Emanuele II.
Ma forse ne manca ancora una: Diego Armando Maradona, del resto le sue scarpe erano le Puma King o no? Forse quando decideranno di erigere una statua anche a Roma per il loro VIII Re…, ma questo è un altro discorso…
A questo punto, per coronare una splendida giornata non resta che andare a gustare la verace cucina partenopea, dove?
I più direbbero da Mimì alla ferrovia o da Zì Teresa al Borgo marinaro, giusto?
E invece a sorpresa andiamo vicino alla Camera di Commercio dall’Europeo di Mattozzi.
Il posto è stile retrò, in altri termini è come era in origine ma in sincerità meglio i posti genuini come questo, che quelli laccati dove poi ti servono il mitico cestino di Fantozzi alla stazione di Bologna.
Pane fatto in casa, pizza bianca e olive di Gaeta per iniziare.
A seguire alici marinate e cotte al forno come antipasto, in attesa di un’indimenticabile pasta patate e provola.
A seguire la delicata pezzogna del Golfo di Napoli.
Come la cuciniamo? Ma all’acqua pazza, e quindi dopo averla pulita e salata, la mettiamo in una padella dove prima abbiamo fatto imbiondire l’aglio con il peperoncino, a seguire abbondanti pachino, un bicchiere d’acqua e una spruzzata di vino bianco. Copriamo il tutto, e dopo venti minuti ecco pronta la nostra pezzogna, accompagnata da una riduzione del sugo prodotto.
E da bere non si può che inchinarsi davanti a un Greco di Tufo Giallo d’Arles di Quintodecimo.
Ma partiamo dal nome quel Giallo d’Arles in onore del paesino provenzale che ospitò quel geniaccio di Van Gogh nel periodo giallo della sua vita.
Il colore giallo-oro antico, è caratteristico e qui è ancora più accentuano a mezzo della breve permanenza, durante la fermentazione, in piccole botti di rovere e dalla completa assenza di interventi di chiarifica. Anche qui, come per il grande Gaja della scorsa settimana, siamo in presenza di blanc de noir, un bianco con la struttura di un rosso. All’olfatto si esalta l’albicocca e la mela cotogna. Al palato pieno e fresco. Sorprendente la persistenza aromatica e la profondità.
A dire il vero, il Giallo d’Arles, viste le sue caratteristiche richiederebbe un abbinamento con un bel capitone, un pesce grasso o dei crostacei, ma come si dice “al cuor non si comanda”…