Buoni pasto: il divieto di cumulo non rileva ai fini fiscali
di Alessandro BonuzziNell’ambito dell’organizzazione aziendale i datori di lavoro devono affrontare anche la gestione dei pasti a favore dei dipendenti. Il servizio può essere offerto attraverso una mensa oppure mediante servizi sostitutivi.
I buoni pasto o “ticket restaurant” rientrano tra le prestazioni sostitutive dei servizi di mensa; solitamente vengono utilizzati dalle medie piccole imprese che non hanno la necessità o comunque la possibilità di dotarsi di una mensa aziendale.
Il diritto a ricevere buoni pasto spetta a tutti i lavoratori, essendo necessario che i ticket siano rivolti alla generalità dei dipendenti o a categorie omogenee di essi (circolare 326/E/1997 e circolare 188/E/1998).
L’articolo 2, comma 1, lett. c), D.M. 122/2017 definisce il buono pasto come “il documento di legittimazione, anche in forma elettronica … che attribuisce, al titolare, ai sensi dell’articolo 2002 del codice civile, il diritto ad ottenere il servizio sostitutivo di mensa per un importo pari al valore facciale del buono e, all’esercizio convenzionato, il mezzo per provare l’avvenuta prestazione nei confronti delle società di emissione”.
In particolare, l’articolo 4 del D.M. dispone che i buoni pasto:
- consentono al “titolare” di ricevere un servizio sostitutivo di mensa di importo pari al valore facciale del buono pasto (ossia il valore della prestazione indicato sul buono, Iva inclusa);
- consentono all’esercizio convenzionato di provare documentalmente l’avvenuta prestazione nei confronti delle società di emissione;
- sono utilizzati esclusivamente dai prestatori di lavoro subordinato (a tempo pieno o parziale) anche qualora l’orario di lavoro non preveda una pausa per il pasto, nonché dai soggetti che “hanno instaurato con il cliente un rapporto di collaborazione anche non subordinato”;
- non sono cedibili, né cumulabili oltre il limite di otto buoni, né commercializzabili o convertibili in denaro e sono utilizzabili solo dal titolare;
- sono utilizzabili esclusivamente per l’intero valore facciale.
Sotto il profilo fiscale, l’Agenzia delle entrate, con la circolare 26/E/2010, ha chiarito che i buoni pasto, trattandosi di veri e propri compensi corrisposti al lavoratore dipendente, devono essere sottoposti a tassazione ai fini dell’Irpef in capo al dipendente.
Tuttavia, ai sensi dell’articolo 51 Tuir, i ticket non concorrono alla formazione del reddito imponibile del lavoratore:
- nel limite di 5,29 euro giornalieri se resi in forma cartacea;
- nel limite di 7 euro giornalieri se resi in forma elettronica.
Solo l’eventuale eccedenza rispetto alle soglie costituisce reddito in capo al dipendente. Ad esempio, se si ricevono buoni pasto elettronici dal proprio datore di lavoro del valore di 10 euro per ogni giorno effettivamente lavorato, soltanto 3 euro (giornalieri) sconteranno la tassazione in busta paga ai fini Irpef.
Peraltro, a differenza dei “fringe benefit”, i “ticket restaurant”, siccome non costituiscono erogazioni in natura ma permettono solamente l’espletamento della prestazione sostitutiva nei confronti dei dipendenti che ne hanno diritto, non rilevano ai fini del raggiungimento della franchigia annua di esenzione di cui all’articolo 51, comma 3, Tuir, pari ad euro 258,23, indipendentemente dal loro valore nominale.
L’Agenzia delle entrate, con il Principio di diritto n. 6 del 12 febbraio 2019, ha fornito i primi chiarimenti in relazione alla cumulabilità dei buoni a seguito dell’entrata in vigore del D.M. 122/2017.
Nell’occasione è stato precisato che il divieto di cumulo oltre il limite di otto buoni pasto, previsto dall’articolo 4, comma 1, lett. d), del decreto ministeriale, non rileva sotto il profilo fiscale, non incidendo, ai fini Irpef, sui limiti di esenzione dal reddito di lavoro dipendente previsti dall’articolo 51 Tuir.
Pertanto, la non concorrenza alla formazione del reddito di lavoro dipendente (ed assimilato) dei ticket opera nei limiti di 5,29 euro e 7 euro giornalieri – per i buoni pasto elettronici – a prescindere dal numero di buoni utilizzati.
Il datore di lavoro è tenuto di conseguenza alla verifica dei limiti di esenzione avendo esclusivamente riguardo al valore nominale dei buoni erogati.