Buoni “regalo”: chiarito il trattamento IVA resta il dubbio ai fini redditi
di Luca Caramaschi
L’avvicinarsi del periodo natalizio è occasione per molte aziende, al fine di promuovere la propria immagine o di consolidare i rapporti con le persone che fanno parte dell’organizzazione aziendale, di omaggiare i propri clienti e/o dipendenti di buoni o voucher utilizzabili per l’acquisto di determinati beni o servizi. Rispetto all’omaggio tradizionale (tipicamente il cesto natalizio) sono infatti di recente apparsi sul mercato strumenti promozionali che vengono omaggiati prevalentemente ai propri clienti, ma che vengono anche utilizzati quale forma di incentivazione del proprio personale dipendente, e che assicurano la fruizione di determinati servizi o l’acquisto di determinati beni.
E’ il caso, ad esempio, dell’azienda che omaggia “cofanetti regalo” in occasione di ricorrenze o festività. Detti buoni regalo possono essere spesi per ottenere beni o servizi, con diverse aliquote e regimi Iva applicabili (degustazioni gastronomiche, trattamenti presso centri benessere, biglietti per eventi sportivi o musicali, eccetera).
La disciplina di tali strumenti ha vissuto, in particolare sotto il profilo del loro corretto inquadramento fiscale, momenti di incertezza, fino a quando la stessa ha formato oggetto di uno specifico intervento da parte dell’Agenzia delle entrate con la R.M. 21/E del 22 febbraio 2011.
In tale documento di prassi, limitato all’indagine circa il corretto trattamento ai fini Iva, l’Agenzia delle entrate ha esteso alla categoria dei buoni acquisto o regalo, tra cui si ritiene rientri a pieno titolo anche la casistica delle cosiddette “smart box” (acquistabili presso le librerie, le edicole, gli ipermercati, ecc.), le considerazioni a suo tempo effettuate dall’Amministrazione finanziaria in merito ai c.d. “buoni benzina” con le circolari 1° agosto 1974 n. 502598 e n.27 del 9 agosto 1976. In virtù di tale assimilazione i voucher utilizzabili per l’acquisto di beni e/o servizi vanno considerati quali semplici documenti di legittimazione ai sensi dell’art. 2002 del Codice civile e non, invece, quali titoli rappresentativi di merce.
In base alla seguente interpretazione, dunque, la circolazione del buono non comporta un’anticipazione della cessione del bene e non assume, pertanto, rilevanza ai fini Iva. Tale conclusione appare, inoltre, ulteriormente ribadita nel caso specifico delle “smart box”, operazione nella quale è prevista la possibilità per il consumatore di scegliere il bene da acquistare tra una moltitudine di beni/servizi, situazione che renderebbe comunque impossibile l’individuazione a priori del bene oggetto di cessione. Il voucher contenuto nella “smart box”, quindi, deve essere considerato dal singolo venditore quale una diversa modalità di pagamento da parte del cliente dell’intero prezzo di vendita del bene o servizio acquistato.
Al momento della vendita del bene, quindi, il venditore è tenuto ad emettere nei confronti del cliente che ha presentato il voucher, scontrino/fattura con riferimento all’intero corrispettivo di vendita, con conseguente addebito dell’Iva sull’intera base imponibile, prescindendo dal fatto che parte del corrispettivo verrà pagato successivamente dal soggetto emittente del voucher. Il successivo rimborso da parte della società emittente del valore facciale del voucher costituisce, invece, un’operazione non rilevante ai fini Iva ai sensi dell’art.2 terzo comma lettera a) del DPR 633/1972 (cessioni aventi ad oggetto denaro o crediti in denaro), come evidenziato dall’Agenzia delle entrate nella risoluzione in commento.
Sotto il profilo contabile, quindi, il venditore registrerà:
- in avere di CE il corrispettivo di vendita al netto dell’Iva;
- in avere di SP l’Iva a debito relativa al corrispettivo di vendita;
- in dare di SP il credito verso l’emittente del voucher, ove lo stesso copra l’intero prezzo di vendita (corrispettivo + Iva); in caso di copertura parziale, la differenza pagata dall’acquirente verrà contabilizzata nel conto della cassa/banca a seconda della modalità di pagamento adottata;
- al momento del rimborso del voucher da parte dell’emittente, richiesto dal venditore tramite un apposito documento non rilevante ai fini Iva, si procederà a stornare il relativo conto di credito e a movimentare il conto di banca.
Va evidenziato che, laddove l’emittente richieda al venditore la corresponsione di una commissione per l’incremento del giro d’affari conseguente all’emissione delle “smart box”, tale commissione dovrà essere fatturata e assoggetta ad Iva, come peraltro specificatamente evidenziato nella R.M. n. 21/E/2011.
La commissione costituirà, invece, un costo dell’esercizio.
Il richiamato documento di prassi, infine, non fornisce alcuna indicazione in merito al trattamento di tale spesa ai fini reddituali.
Ciò porta a concludere che nel caso in cui la qualificazione come semplici documenti di legittimazione operasse anche ai fini delle imposte sui redditi, il costo d’acquisto dei c.d. “voucher” o della “smart box” andrebbe considerato indeducibile, in quanto costi che non rientrano nella nozione di spese di rappresentanza fornita dal D.M. 19 novembre 2008. Al contrario, se il buono venisse qualificato come titolo rappresentativo di un bene, non parrebbero sorgere dubbi sulla relativa deducibilità. Sul punto è auspicabile uno specifico intervento da parte dell’amministrazione finanziaria.