“Business judgment rule” applicabile anche alle scelte organizzative
di Fabio LanduzziCon Il Caso n. 7/2020, Assonime porta all’attenzione l’interessante ordinanza pronunciata dal Tribunale di Roma in sede cautelare, in cui si affronta il tema della responsabilità dell’amministratore di società anche per un profilo inerente l’adeguatezza degli assetti organizzativi adottati nell’impresa, in attuazione di quanto prescritto dall’articolo 2381 cod. civ..
La questione è di grande interesse sotto molteplici profili.
Prima di tutto, in quanto, come evidenzia Assonime, viene affrontato in chiave giurisprudenziale – seppure in una fase cautelare – la questione della applicazione della c.d. Business judgment rule (in breve, “BJR”) nella valutazione del profilo di responsabilità degli amministratori, avuto riguardo alla adozione di assetti organizzativi adeguati per l’impresa; in secondo luogo, perché proprio l’adeguatezza degli assetti organizzativi ha assunto oggi un profilo di spiccato interesse e di rilevanza, per effetto delle disposizioni di cui all’articolo 2086, comma 2, cod. civ., novellato dal Codice della Crisi di impresa che, come noto, impone agli amministratori di adottare assetti organizzativi adeguati a prevenire la crisi.
È in particolare interessante osservare che il Tribunale, pur rilevando un profilo di responsabilità in capo all’amministratore citato in giudizio, prende posizione favorevole all’applicazione della BJR anche ai fini della non sindacabilità delle scelte operate dagli amministratori in merito alla definizione degli assetti organizzativi dell’impresa, laddove questi risultino conformi a criteri di legittimità e di ragionevolezza.
La responsabilità dell’amministratore, quindi, anche rispetto alla adozione dell’assetto organizzativo dell’impresa, non può essere giudicata nel generico presupposto della non commissione di errori, bensì per via di una colposa violazione degli obblighi che la legge gli impone.
Una valutazione, questa, che deve tuttavia essere compiuta non con un approccio ex post, bensì ex ante, ovvero avendo come riferimento quelle circostanze che esistevano al momento del compimento di quell’atto, o dell’omissione, che potrebbe aver cagionato un danno alla società.
Assonime evidenzia come questo approccio sia già ampiamente ribadito in giurisprudenza, quando si ha riguardo alle scelte gestionali, mentre assai meno ricorrente è la sua applicazione quando si tratta di scelte organizzative compiute dall’amministratore.
La BJR, come delineato da un ampio filone giurisprudenziale citato da Assonime, richiama la insindacabilità delle scelte gestionali degli amministratori quando non vi è stata omissione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, che sono normalmente richieste per assumere quel tipo di scelta di cui si tratta.
Quindi, all’amministratore può essere imputata la responsabilità di non aver preventivamente apprezzato con la dovuta diligenza i margini di rischio connessi all’operazione compiuta, e di non aver assunto un processo decisionale razionale.
Ed è proprio il processo decisionale ad essere la fonte di innesco dell’eventuale responsabilità dell’amministratore, laddove manchi degli elementi sopra delineati.
Circa l’applicazione della BJR anche alla definizione degli assetti organizzativi dell’impresa, Assonime richiama l’esistenza di posizioni contrapposte in dottrina.
Chi propende per la sua applicazione – tesi a cui accede anche l’ordinanza del Tribunale di Roma, che è oggetto del documento qui in commento – sottolinea come si tratta pur sempre di una scelta di gestione, anzi fra le più strategiche; peraltro, l’assetto organizzativo adeguato è sì un obbligo gravante sugli amministratori, ma “non predeterminato nel suo contenuto”.
Quindi, anche le scelte compiute dagli amministratori nell’approntare l’organizzazione dell’impresa sarebbero soggette alla BJR, così che non sarebbero sindacabili purché siano razionali, non connotate da imprudenza e compiute dalle verifiche preventive imposte dalla diligenza professionale.
A favore di questa tesi deporrebbe anche il disposto civilistico che parla infatti di “adeguatezza”, lasciando aperto un inevitabile margine di discrezionalità nell’operato degli amministratori nel definire l’assetto ritenuto, appunto, adeguato all’impresa in quella particolare circostanza.
Quindi, anche la valutazione delle scelte organizzative degli amministratori sarebbe da compiersi sotto il profilo della disamina del processo decisionale dagli stessi compiuto.