5 Settembre 2017

Cancellazione della data di scadenza dai prodotti

di Luigi Ferrajoli
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Con la sentenza n. 17905 del 10 aprile 2017, la Suprema Corte si è pronunciata nell’ambito del reato di frode nell’esercizio in commercio previsto dall’articolo 515 c.p. e ha ritenuto idonea ad integrarne gli estremi la cessione di un prodotto alimentare non suscettibile di essere legittimamente commercializzato, ove ne sia stata in qualche modo contraffatta – sia attraverso la falsificazione sia attraverso la soppressione – l’indicazione della data di scadenza.

Nel caso specifico, la Corte di appello di Salerno aveva confermato la sentenza con cui il Tribunale di Salerno, Sezione distaccata di Mercato San Severino, aveva dichiarato la penale responsabilità di un esercente un’attività commerciale in ordine al reato di tentata frode in commercio, realizzato attraverso la cancellazione della data di scadenza sui barattoli contenenti prodotti ortofrutticoli destinati alla vendita e presenti nei locali dell’impresa da lui condotta, condannandolo alla pena di giustizia.

A seguito di tale condanna, l’imputato aveva proposto ricorso in Cassazione rilevando l’erroneità del ragionamento attraverso il quale la Corte era giunta alla conferma della sua penale responsabilità e asserendo come la fattispecie concretamente verificatasi non avrebbe integrato neppure gli estremi del tentativo, potendosi al massimo parlare di atti preparatori, come tali, ancora non punibili.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Cassazione ha invece riconosciuto la piena legittimità delle argomentazioni esposte dai giudici di merito, atteso che già la stessa ricostruzione del fatto operata dal ricorrente aveva palesato come l’acquisto dei prodotti fosse avvenuto in assoluta prossimità della data di scadenza, tanto che la materiale acquisizione degli stessi era intervenuta dopo la predetta data.

A parere della Corte, i Tribunali di merito avevano, inoltre, giustamente ravvisato in tale condotta un disegno criminoso consistente nell’acquisizione – verosimilmente, a condizioni di estremo favore – di prodotti alimentari in scadenza, in previsione della loro vendita (anche successiva alla data in cui essi potevano essere lecitamente commercializzati), previa cancellazione dell’indicazione cronologica della validità della merce.

La Cassazione è poi passata ad analizzare i presupposti del reato di fronde in commercio ammettendone l’integrazione anche nella sola forma “tentata”.

Invero, premettendo che per la sua integrazione deve essere ravvisata “quale elemento oggettivo del reato, la condotta di chi, esercitando un’attività commerciale, consegni all’acquirente una cosa mobile diversa da quella oggetto del contratto ovvero avente caratteristiche tali da farla intendere, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita”, la Corte ha ammesso che il reato de quo può realizzarsi sia nel caso in cui l’oggetto della traditio all’acquirente sia una cosa mobile sostanzialmente diversa da quella pattuita (si tratta della c.d. aliud pro alio) sia nel caso in cui l’oggetto materiale della compravendita non abbia le caratteristiche che ne hanno reso possibile l’individuazione in sede di trattative da parte del compratore o che, comunque, siano state, anche in termini impliciti, prospettate dal venditore nell’offerta in vendita.

Ad ogni buon conto, nel caso in cui il bene oggetto della compravendita è un prodotto alimentare – sia che si voglia ritenere la fattispecie integrare un vero e proprio aliud pro alio sia che si voglia ritenere che si tratti di una mancanza di qualità -, secondo la Cassazione, integra gli estremi del reato in questione la cessione di un prodotto non suscettibile di essere legittimamente commercializzato “ove ne sia stata in qualche modo contraffatta, sia attraverso la falsificazione sia attraverso la soppressione, la indicazione della data di scadenza”.

Tale è stata, infatti, la fattispecie oggetto di ricorso in cui l’imputato aveva appunto dato disposizione affinché fosse cancellata dai barattoli acquistati l’indicazione della – già spirata – data di scadenza.

Il fatto che non fosse ancora materialmente intervenuto l’atto di vendita, “lungi dall’escludere la rilevanza penale della condotta, consente l’individuazione della fattispecie tentata”, atteso che “costituendo momento consumativo del reato de quo l’effettiva consegna all’acquirente della merce alterata”, la predisposizione dell’alterazione e la destinazione al commercio della stessa – circostanza da non mettere in dubbio posto che lo scatolame di cui alla contestazione era stato acquistato dall’imputato proprio allo scopo di porlo in vendita, non fosse altro perché, diversamente, non avrebbe avuto alcuna ragione la disposizione impartita ai propri dipendenti di procedere alla cancellazione della data di scadenza dei prodotti in discorso – appaiono per la Corte, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, “atti idonei diretti in modo non equivoco alla commissione del reato in questione, atteso che ci si trova di fronte ad un’ipotesi tipica di tentativo incompiuto in cui cioè sono stati posti in essere da parte dell’agente atti preparatori per la realizzazione del reato, valorizzabili nella loro rilevanza penale in ragione della indubbia univoca loro direzione verso la realizzazione della condotta tipica, mancata quest’ultima per fatto del tutto indipendente dalla volontà dell’agente (in tal senso, Cass. n. 9276/2011, n. 41758/2010 e n. 28/2000).

Alla luce di tali presupposti, la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto e condannato il ricorrente al pagamento delle spese di lite.

Temi e questioni del contenzioso tributario 2.0 con Luigi Ferrajoli