Cantine aperte ma non solo
di Chicco Rossi
Come tutti sapranno, sabato e domenica è in programma l’edizione 2014 di quella bella iniziativa che è Cantine aperte. Per tutti quelli che hanno la possibilità di muoversi, questo fine settimana può essere l’occasione per unire, come si suol dire, l’utile al dilettevole.
In questo viaggio che ci apprestiamo a fare, infatti, uniremo arte, storia, cultura, tradizione e, ovviamente, enogastronomia.
Destinazione l’Umbria, terra ricca di tradizione.
Partiremo da Deruta per poi proseguire fino a Torgiano e chiudere il nostro viaggio in una delle capitali del cioccolato, quella Perugia, sede del bacio nazionale (a dire il vero Chicco Rossi va fuori di testa e torna indietro di 40 anni quando trova la “banana”).
Deruta, il cui nome in origine era Diruta, cioè rovinata, è una cittadina a poca distanza da Perugia, famosa in tutto il mondo per la produzione di maioliche artistiche, sviluppatasi sin dai primi del ‘200 e che ha raggiunto il massimo splendore, diffondendosi nel Cinquecento nelle maggiori piazze italiane e iniziando a trovare un affinamento nelle tecniche di lavorazione (viene introdotta la tecnica del lustro, il cui primo pezzo, raffigurante il martirio di san Sebastiano, è conservato al Victoria and Albert Museum di Londra).
Merita una visita la chiesa di San Francesco dove è possibile ammirare le maioliche. La chiesa, di stile gotico, con una facciata di arenaria e il portale ogivale si affaccia su piazza dei Consoli dove è possibile ammirare anche l’omonimo palazzo del ‘300, attuale sede comunale. Ma nella stessa piazza vi è il convento francescano, fondato nel 1008 e dove passò gli ultimi giorni della sua vita Papa Urbano IV citato dal monumentale Wagner nel dramma Tannhäuser.
E per mangiare? Niente di meglio che la Locanda del bracconiere, location romantica nel cuore di Deruta dove poter degustare una splendida stracciata al tartufo accompagnata o il piatto tipico, le tagliatelle con le frattaglie d’oca, a cui far seguire un filetto di chianina che si scioglie in bocca, il tutto accompagnato da quello che è un Re da queste parti: un Sagrantino di Montefalco di quello che ne è l’ambasciatore indiscusso: Arnaldo Caprai.
Un vino prodotto con uve di Sagrantino al 100%, che affina per 24 mesi in barriques di rovere francese e almeno altri 8 in bottiglia.
Dal colore rosso scuro quasi impenetrabile, all’olfatto si presenta con una complessità sorprendente che varia dalla confettura di mora alla rosa, dalla noce moscata al pepe, dalla resina di pino alla menta, dal chiodo di garofano al cacao. Al gusto morbido e al contempo fresco.
Aperte le danze, è il momento di ripartire con destinazione Torgiano, patria del vino Torgiano doc e di una grande famiglia di vignaioli italiani: i Lungarotti. Ma prima di andare a degustare il Rubesco, perché non passeggiare per le strade di questo piccolo borgo di Giano, ripercorrendo quel che rimane delle mura castellane da cui, in certi punti si gode una splendida vista della valle del Tevere?
Partendo dalla Torre Baglioni si arriva fino alla Torre Jaccera, avendo il tempo di fermarsi per a visitare la Chiesa di Santa Maria dell’Olivello di incantevole semplicità.
Tornando indietro non si può non fermarsi a Palazzo Graziani-Baglioni del XVII secolo ed entrare in un viaggio lungo 5000 anni accompagnati dal nettare tanto amato da tutti i popoli.
Tutto questo è il museo del vino di Torgiano, ideato e realizzato da Maria Grazia Marchetti, storica dell’arte e moglie di quel Giorgio Lungarotti di cui andremo a visitare le cantine.
Ma come si possono perdere le 20 sale che ospitano oltre 2800 manufatti di archeologia, ceramica, grafica, editoria antiquaria?
Esaltati dal museo si corre a testa bassa verso le cantine Lungarotti dove bisogna degustare la bandiera della famiglia: il Rubesco riserva, un 3 bicchieri garantito ogni annata.
Ottenuto da uve Sangiovese e Canajolo, si presenta con un colore rosso rubino profondo. All’olfatto ha un profumo profondo e complesso che ricorda la marasca e la mora, con note mentolate e un finale speziato. Al gusto morbido e vellutato, con un finale lungo e persistente.
A questo punto, per gli impavidi, quale giusto chiusura del cerchio, perché non andare a vedere un vero incanto dell’architettura e dell’arte italiana? Ci stiamo riferendo alla Basilica di San Pietro a Perugia il cui pavimento, vedi come è strana la vita è opera dei maestri ceramisti di Deruta.
Si resterà incantati a testa insù ad ammirare “La Pietà” del Perugino o le opere dell’Appiani (attenzione Francesco e non l’impareggiabile Andrea) per arrivare fino all’inquietante e misteriosa “Apoteosi dell’Ordine dei Benedettini” di Vassillacchi.
Ma tutto torna a posto addentando un bacio Perugina…
P.S.: aspettiamo le vostre esperienza su Cantine Aperte 2014 a info@ecnews.it