Cartella di pagamento e ruolo. Due atti, due procedimenti, un processo
di Enrico FerraIl problema della legittimazione passiva nelle liti che coinvolgono l’agente della riscossione è particolarmente sentito già di per sé, ma lo è soprattutto nel caso in cui il contribuente intenda contestare un atto viziato sia sotto il profilo che interessa l’attività dell’agente della riscossione sia in relazione all’attività dell’Agenzia delle entrate e, per di più, il valore della lite sia inferiore a 20.000 euro, cosicché l’atto da impugnare ricade (per la parte riferibile all’Agenzia delle entrate) nell’ambito della disciplina del reclamo/mediazione.
Tralasciando per un attimo l’istituto del reclamo, si può affermare che, in termini generali, la questione della legittimazione passiva è stata risolta già diversi anni fa dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza n. 16412/2007, ove la stessa ha avuto modo di precisare che il contribuente che abbia incertezze sul soggetto a cui notificare il ricorso (se all’Agenzia delle entrate o all’agente della riscossione), in relazione ai vizi riconducibili ad entrambi, gode di piena discrezionalità e che quindi “l’individuazione del legittimato passivo dipende dalla scelta in concreto effettuata dal contribuente […], ossia dal fatto se egli abbia dedotto l’omessa notifica dell’atto presupposto, o abbia contestato, in via mediata, la stessa pretesa tributaria azionata nei suoi confronti. In questo secondo caso, infatti, non potrebbe esservi dubbio che spetti all’amministrazione, e non al concessionario, la legittimazione passiva, essendo la stessa titolare del diritto di credito oggetto di contestazione nel giudizio, mentre il secondo è, come è stato rilevato da questa Corte, un (mero) destinatario del pagamento […] o, più precisamente, con riferimento allo schema dell’art. 1188 c.c., comma 1, il soggetto (incaricato dal creditore e) autorizzato dalla legge a ricevere il pagamento”.
Il cerchio poi si chiuderebbe con la norma che impone al concessionario, nelle liti promosse contro di lui, ma che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, di chiamare in causa l’ente creditore, poiché in mancanza risponde delle conseguenze della lite lo stesso concessionario.
E così, rimanendo al caso generale, l’errore del contribuente nel dirigere la propria impugnazione nei confronti dell’Agenzia delle entrate o dell’agente della riscossione “non determina l’inammissibilità della domanda, ma può comportare la chiamata in causa dell’ente creditore nell’ipotesi di azione svolta avverso il concessionario”; ciò in quanto il contribuente può scegliere di impugnare, ad esempio, solo la cartella di pagamento notificatagli oppure, in via cumulativa, la cartella di pagamento e l’atto presupposto (non notificato) per contestare radicalmente la pretesa tributaria.
La scelta, che tuttavia non è priva di effetti dal punto di vista della strategia difensiva, si complica quando, in presenza di vizi riconducibili sia all’Agenzia delle entrate sia all’agente della riscossione, il valore della lite è inferiore a 20.000 euro e la controversia ricade, almeno astrattamente, nell’ambito della disciplina del reclamo e della mediazione di cui all’articolo 17-bis D.Lgs. 546/1992.
In tal caso, un contribuente che riceva un atto emesso dall’agente della riscossione portante sia vizi propri sia vizi relativi all’attività dell’Agenzia delle entrate si trova subito di fronte a due diverse discipline non proprio “sincronizzate”:
- la disciplina del reclamo e della mediazione, per la parte riferibile all’Agenzia delle entrate;
- la disciplina del ricorso, per la parte riconducibile all’agente della riscossione.
Nel primo caso, è imposto al contribuente di avviare la fase di mediazione con l’Ufficio nel termine di 60 giorni dalla data di notificazione dell’atto e, solo dopo il decorso di 90 giorni dal ricevimento dell’istanza da parte dell’Ufficio, “partono” i termini per il compimento degli atti processuali, con la conseguenza che il contribuente può depositare il reclamo-ricorso costituendosi in giudizio entro i successivi 30 giorni. In caso contrario, la costituzione “prematura” comporterebbe l’improcedibilità del ricorso e l’impossibilità di portare avanti le altre attività processuali (tra le quali, ad esempio, la trattazione dell’istanza di sospensione giudiziale ex articolo 47 D.Lgs. 546/1992).
Diversamente, per la parte riferibile all’attività dell’agente della riscossione, le tempistiche sono molto più stringenti, in quanto il contribuente dovrebbe proporre ricorso (non essendo possibile avviare il reclamo in relazione ai vizi propri dell’attività di riscossione) entro il termine di 60 giorni dalla data di notificazione dell’atto e costituirsi in giudizio nei successivi 30 giorni.
La soluzione (non condivisibile) è stata offerta dalla stessa Agenzia delle entrate in due documenti di prassi, ossia la Circolare 9/E/2012 e la Circolare 1/E/2014.
Nella Circolare del 2012, l’Agenzia invitava il contribuente, che volesse notificare il “ricorso” ad entrambi i soggetti, ad avviare comunque la fase di mediazione ex articolo 17-bis D.Lgs. 546/1992 e a costituirsi in giudizio in ogni caso entro 30 giorni dalla scadenza di 90 giorni dal ricevimento dell’istanza da parte dell’Ufficio, non essendo possibile per l’Agenzia “sdoppiare gli adempimenti processuali inerenti ad un’unica controversia”.
La soluzione non poteva essere condivisa perché esponeva il contribuente, per la parte riferibile all’agente della riscossione, al rischio connesso alla tardività nella costituzione in giudizio.
Nel frattempo, le cose sono cambiate perché la presentazione del reclamo è ora condizione di procedibilità e non più di ammissibilità del ricorso, ma la posizione dell’Agenzia delle entrate rimane immutata. Ed infatti nella Circolare 1/E/2014 ha ribadito che “nel caso in cui il contribuente impugni un atto emesso dall’Agente della riscossione e contesti sia l’attività dell’Agenzia delle entrate sia quella dell’Agente della riscossione, è tenuto comunque a presentare l’istanza prevista dall’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992 e deve attendere il decorso dei 90 giorni per la costituzione in giudizio”.
La scelta di seguire solo la strada del reclamo può apparire oggi meno “azzardata” rispetto al passato, per via della improcedibilità (in luogo dell’inammissibilità) e della sospensione automatica delle somme, ma le difficoltà a cui è esposto il contribuente rimangono invariate.
Infatti, un contribuente che intenda sollevare oggi dei vizi riferibili sia all’Agenzia delle entrate sia all’agente della riscossione dovrà decidere se:
- proporre un unico ricorso nel termine di 60 giorni e costituirsi in giudizio nei successivi 30 giorni, esponendosi al rischio che l’Ufficio, in sede di rituale costituzione in giudizio, eccepisca l’improcedibilità per il mancato rispetto della procedura di mediazione;
- presentare unicamente il reclamo nel termine di 60 giorni e costituirsi in giudizio entro i 30 giorni successivi al decorso dei 90 giorni per lo svolgimento del procedimento di mediazione, esponendosi di conseguenza al rischio della tardività nella costituzione in giudizio rispetto ai vizi riferibili all’agente della riscossione;
- avviare la fase di mediazione con l’ufficio e contestualmente proporre ricorso nei confronti dell’agente della riscossione, sottoponendosi alla complessità di gestire contemporaneamente due “procedimenti” caratterizzati da tempistiche diverse e una difficile riunione dei ricorsi.
Ad oggi, la soluzione più cautelativa sembra essere quella di avviare la mediazione con l’ufficio e contemporaneamente proporre ricorso nei confronti dell’agente della riscossione. Una soluzione alternativa (apparentemente non diversa dalla prima ipotesi) potrebbe essere quella di avviare la mediazione con l’ufficio e costituirsi in giudizio in tempo utile per “superare” il problema della tardività rispetto all’agente della riscossione, ma anche in questo caso la scelta non è priva di conseguenze perché l’ufficio potrà eccepire l’improcedibilità con il conseguente venir meno della sospensione automatica delle somme dovute ai sensi del comma 9-bis dell’articolo 17-bis D.Lgs. 546/1992.
La situazione dovrebbe definitivamente risolversi, sotto questo profilo, dal prossimo anno, quando saranno operative le disposizioni in materia di reclamo e mediazione anche nei confronti degli agenti della riscossione, il che dovrebbe consentire di non “sdoppiare” fin dall’origine la contestazione rispetto a quegli atti che coinvolgono entrambi i soggetti.