Cassazione “rigida” sull’accertamento anticipato
di Comitato di redazioneLa fretta e l’agire tardivo dell’Amministrazione finanziaria non possono determinare una compressione indebita del diritto di difesa del contribuente. Questo l’importante principio affermato dalla Cassazione n. 11993 del 10-06-2015 che, in particolare, risolve in modo tranciante due questioni che spesso si pongono all’attenzione dei colleghi chiamati ad assistere i propri clienti oggetto di verifica:
- la validità del PVC sottoscritto solo da un verificatore;
- la validità del successivo avviso di accertamento emesso prima che sia trascorso il canonico periodo di 60 giorni previsto dall’articolo 12 comma 7 della legge 212/2000 (Statuto del contribuente).
La prima questione è liquidata in maniera molto veloce a favore del fisco, anche se appare bizzarra la tesi difensiva delle Entrate, che sostenevano la irrilevanza del fatto, in quanto l’unica copia sottoscritta da uno solo dei verificatori era quella in possesso del contribuente!
In ogni caso, la sentenza risolve la questione con l’affermazione del seguente principio di diritto: “anche nel caso in cui il capo dell’ufficio abbia autorizzato … più impiegati ad accedere presso i locali in cui è esercitata l’attività economica del contribuente … i poteri certificatori del pubblico ufficiale … sono legittimamente esercitati anche da uno soltanto degli impiegati che hanno eseguito l’accesso, non essendo previsto … l’esercizio congiunto della competenza”.
Più interessante, invece, la seconda questione, poiché dalla medesima discende, con maggiore probabilità, una censura sulla legittimità dell’atto.
Il comma 7 dell’articolo 12 dello Statuto prevede che: “nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.
Sulla concreta applicazione del principio, in assenza della ricorrenza di casi di particolare e motivata urgenza, si erano contrastati due differenti orientamenti di legittimità:
- da un lato si sosteneva che, in assenza di esplicita sanzione di invalidità dell’atto, il mancato rispetto del termine temporale non era in grado di determinare la nullità dell’atto (e, sia consentito dire con il massimo rispetto, con buona pace della funzione di norma sovraordinata assegnata allo Statuto);
- per altro verso, invece, si faceva derivare la nullità dell’atto dal combinato disposto delle norme dello Statuto e di quelle in tema di trasparenza amministrativa degli atti (D.Lgs. 32/2001 e Legge 241/1990).
Tale contrasto sembra essere stato sanato dalla pronuncia a SS.UU. n. 18184 del 29-07-2013 che, finalmente, ha puntualizzato come la norma tributaria in questione costituisca concreta attuazione dei principi di collaborazione e buona fede che vanno considerati diretta applicazione dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità dell’Amministrazione, di capacità contributiva e di ragionevolezza.
Pertanto, deriva dal sistema ordinamentale comunitario e nazionale la sanzione di invalidità che, pur non espressamente prevista dalla norma, risulta necessitata dalla duplice esigenza di garanzia del contribuente e di efficienza dell’azione ammnistrativa (evitando alla PA di formulare, inutilmente, rilievi e pretese che attraverso la mera collaborazione del contribuente potrebbero risultare del tutto infondati).
Tale ultimo punto ci pare davvero determinante, ed è quello in relazione al quale rileviamo la maggiore sordità dell’Amministrazione finanziaria; quest’ultima, infatti, deve comprendere che gli avvisi di accertamento opportunamente sterilizzati dalle memorie del contribuente non devono essere emessi, senza che si possa rinviare la valutazione delle censure ai giudici delle commissioni tributarie.
Peraltro, ed anche questo ci piace in modo evidente, la sentenza conferma che tale impostazione rappresenta l’attuazione pratica dei principi di diritto comunitario che intendono salvaguardare il diritto al contraddittorio in ogni occasione di atti che possano incidere sulla sfera patrimoniale del contribuente.
Chiarito tale principio, restava da chiarire un altro punto. La bruciante scadenza del termine di decadenza dal potere di accertamento, rappresenta caso di particolare e motivata urgenza?
In altri termini, può l’Amministrazione finanziaria attendere ad esperire i controlli sino agli ultimi giorni e, per sua inefficienza, ribaltare sul contribuente il sacrificio di dover rinunciare alle memorie?
Nel caso specifico, il PVC era stato redatto in data 27.12.2007 e l’avviso di accertamento emesso in data 28.12.2007 e notificato il 2.1.2008, sulla scorta della necessità di evitare la decadenza dal potere di accertamento. Già questa circostanza richiederebbe una riflessione; il PVC dovrebbe essere analizzato e valutato dall’Ufficio (che, diversamente, si limita a recepirlo in modo pedissequo); chissà cosa potrà essere stato vagliato in un solo giorno!
Ma, fortunatamente, la Cassazione affonda il colpo e, richiamando il principio di diritto già contenuto nella sentenza n. 3142/2014, afferma che: “nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria proceda ad accessi, ispezioni, verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività … il verbale di chiusura delle operazioni deve in ogni caso (e salvo i casi di comprovata impossibilità oggettiva non imputabile alla PA) essere redatto e consegnato alla parte contribuente non oltre il sessantunesimo giorno precedente la scadenza del termine di decadenza per l’esercizio della potestà impositiva, … , essendo tenuta l’Amministrazione finanziaria, a pena di nullità dell’avviso di accertamento o di rettifica, all’osservanza del termine dilatorio (di giorni sessanta decorrenti dalla consegna del verbale di chiusura delle operazioni) prescritto dal comma sette dell’art. 12 legge n. 212/2000 per la emissione dell’atto impositivo. Ed ancora, qualora … la Amministrazione finanziaria alleghi, quale fatto di “particolare e motivata urgenza”, di non aver potuto rispettare il termine dilatorio indicato, essendosi chiuse le operazioni di verifica in data successiva al sessantesimo giorno antecedente la scadenza del termine di decadenza per l’esercizio del potere di accertamento della imposta, l’oggetto della prova va individuato nella oggettiva impossibilità di adempimento all’obbligo ex lege e dunque grava sull’Amministrazione finanziaria, in conformità al principio di vicinanza del fatto da provare, l’onere di dimostrare che la imminente scadenza del termine di decadenza, che non ha consentito di adempiere all’obbligo di legge, sia dipesa da fatti o condotte ad essa non imputabili a titolo di incuria, negligenza od inefficienza”.
A noi pare che il quadro sia chiaro e condivisibile: lo Statuto del contribuente viene rivalutato nella sua funzione di norma sovraordinata, affermando che laddove il medesimo preveda un principio non si può privare di significato la prescrizione con semplici affermazioni di stile.
Dunque, a livello pratico possiamo anche ricavare la regola in forza della quale tutti i PVC in scadenza consegnati negli ultimi 60 giorni dell’anno di scadenza dei termini di accertamento sono potenzialmente nulli (e tale censura dovrà essere avanzata negli atti difensivi) ove l’Amministrazione non riesca a provare la ricorrenza di particolare e motivata urgenza.
Tale circostanza non può ritenersi in automatico sterilizzata dalla esigenza di evitare la scadenza del potere di accertamento, così come sarà bene che il contribuente presenti materialmente le proprie memorie, al fine di dimostrare l’esigenza della attivazione del contraddittorio.
A piccoli passi sembra che si possa ricostruire un minimo di civiltà giuridica.