22 Dicembre 2017

L’accertamento con la cassa in rosso

di Luigi Ferrajoli
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Con l’ordinanza n. 25289 del 25.10.2017 la Corte di Cassazione ha sancito il principio secondo cui il conto cassa rientra tra le scritture contabili, ancorché non obbligatorie, astrattamente idonee ad essere utilizzate dall’Ufficio, ai fini dell’accertamento, quale documento dell’impresa e, pertanto, un eventuale saldo negativo può fondare legittimamente l’accertamento in rettifica con metodo induttivo, facendo gravare sul contribuente l’onere della prova contraria.

Nella fattispecie in esame l’Agenzia delle Entrate aveva emesso un avviso di accertamento a seguito di verifiche fiscali effettuate presso una società, dalle quali era emersa l’inattendibilità delle scritture contabili; in particolare l’Ufficio aveva proceduto alla rideterminazione, con metodo analitico – induttivo, ex articolo 39, comma 2, lett. d), del D.P.R. 600/1973 e ex articolo 55 del D.P.R. 633/1972, del volume d’affari della società, con emersione di ricavi non contabilizzati, risultanti dall’analisi dei costi aziendali, relativi a personale dipendente, materie prime ed energia.

La Commissione Tributaria Regionale, in accoglimento dell’appello proposto dalla contribuente, aveva annullato l’avviso impugnato per carenza dei presupposti dell’accertamento analitico – induttivo, rilevando che l’Ufficio non aveva offerto nessun elemento tale da far emergere l’inattendibilità delle scritture contabili, essendosi invece limitato a riscontrare alcune incongruenze di cassa, senza procedere ad ulteriori accertamenti.

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione lamentando la violazione e falsa applicazione dell’articolo 39, comma 2, lett. d), del D.P.R. 600/1973, dell’articolo 55 del D.P.R. 633/1972 e dell’articolo 2729 cod. civ., giacché la C.T.R. non aveva considerato che la sussistenza della negatività del conto cassa e la sua mancata corrispondenza con gli estratti conto bancari erano dati da ritenersi pacifici e che l’anomala tenuta della contabilità legittimava il ricorso allo strumento accertativo adottato, in quanto diretto a far emergere per via induttiva la materia imponibile.

Secondo l’Ufficio, infatti, era stato accertato nel corso delle operazioni di verifica, che la società registrava versamenti in cassa in data diversa da quella di esecuzione delle relative operazioni, allo scopo di coprire saldi passivi del “conto cassa” e che anche le scritturazioni dei conti “banca” risultavano non conformi agli estratti conto bancari, per cui, alla luce dei predetti elementi gravi, precisi e concordanti, le scritture contabili non potevano ritenersi attendibili.

Inoltre l’Agenzia eccepiva l’insufficienza e la contraddittorietà della sentenza circa un fatto controverso per il giudizio, giacché la C.T.R. non avrebbe spiegato per quale motivo la riscontrata anomalia del conto cassa e la mancata corrispondenza delle scritture contabili con gli estratti conto bancari, avrebbero costituito mere irregolarità di tipo formale e non sostanziale, inidonee a consentire l’accertamento analitico – induttivo.

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondata la prima doglianza, richiamando un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui “In tema di accertamento induttivo del reddito d’impresa ai fini Irpeg e Iva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, la sussistenza di un saldo negativo di cassa, implicando che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati, oltre a costituire un’anomalia contabile, fa presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura almeno pari al disavanzo (Cass. n. 11988/2011)”.

Secondo la Suprema Corte, quindi, poiché la chiusura “in rosso” di un conto di cassa presuppone che le voci di spesa siano di entità superiore a quella degli introiti registrati, è logico presupporre l’esistenza di altri ricavi, non registrati, in misura almeno pari al disavanzo; di conseguenza: ”una chiusura di cassa con segno negativo oltre a rappresentare, sotto il profilo formale, un’anomalia contabile, denota sostanzialmente l’omessa contabilizzazione di un’attività (almeno) equivalente al disavanzo (Cass. n. 27585/2008 e n. 24509/2009)”.

La sentenza d’appello risultava quindi censurabile nella parte in cui, pur avendo riconosciuto come sussistente l’anomalia concernente la tenuta della contabilità, aveva ritenuto ingiustificata la conclusione circa l’occultamento di ricavi, in contrasto col riparto degli oneri probatori regolato dal regime di presunzioni dell’articolo 54, comma 2, D.P.R. 633/1972 e dell’articolo 39, comma 2, D.P.R. 600/1973.

Conclude quindi la Cassazione ribadendo che il conto cassa può rilevare ai fini dell’accertamento in rettifica quale “documento relativo all’impresa” (cfr. anche Cass. n. 6166/2001) ed è senza dubbio “legittima l’utilizzazione, da parte dell’erario, dei movimenti bancari” ai fini dell’accertamento della base imponibile (cfr. anche Cass. n. 446/2013 espressasi relativamente all’imposta sul valore aggiunto).

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