Cedolare secca ammessa anche con canone variabile
di Fabio GarriniIl divieto di aggiornamento del canone al fine dell’applicazione della cedolare secca ex D.Lgs. 23/2011 non vieta le parti di stabilire nel contratto un canone variabile: questo canone, infatti, viene liberamente stabilito dalle parti in sede di sottoscrizione del contratto e non può intendersi come meccanismo per adeguare il valore inizialmente pattuito al trascorrere del tempo e all’inflazione.
Questo è il pensiero espresso dall’Agenzia delle Entrate tramite la risposta all’interpello n. 340 del 23 agosto 2019.
Cedolare per i negozi
Come noto, l’articolo 1, comma 59, L. 145/2018 (Legge di stabilità per il 2019) introduce la possibilità di applicare la cedolare secca (ossia la tassazione sostitutiva con aliquota al 21%) relativamente ai contratti di locazione commerciale stipulati nel 2019 (in precedenza tale regime era consentito solo in relazione ai fabbricati abitativi a destinazione abitativa), aventi ad oggetto unità immobiliari classificate nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe) di superficie fino a 600 metri quadrati escluse le pertinenze, nonché alle relative pertinenze locate congiuntamente.
Sotto il profilo soggettivo la novità riguarda esclusivamente i proprietari persone fisiche che detengono le suddette tipologie di immobili (C/1) nella sfera privata (immobili produttivi di redditi fondiari), in quanto la cedolare secca è un regime opzionale non utilizzabile da parte delle società o comunque da parte di soggetti che concedono in locazione l’immobile nell’ambito della loro attività d’impresa. Come chiarito nella risoluzione AdE n. 50/E/2019, il conduttore può anche essere soggetto che utilizza detto immobile nell’esercizio dell’attività di impresa o di arti e professioni.
Sotto il profilo normativo, la sopracitata norma, nell’estendere l’applicazione della cedolare agli immobili commerciali, opera un rinvio alla disciplina della tassa piatta di cui all’articolo 3 D.Lgs 23/2011.
Tra le previsioni che regolano la cedolare, vi è il divieto per il locatore di praticare aggiornamenti di canone a carico del conduttore. All’articolo 3, comma 11, D.Lgs. 23/2011, applicabile per rinvio anche alle locazioni di fabbricati commerciali C/1, è infatti previsto che:
“Nel caso in cui il locatore opti per l’applicazione della cedolare secca è sospesa, per un periodo corrispondente alla durata dell’opzione, la facoltà di chiedere l’aggiornamento del canone, anche se prevista nel contratto a qualsiasi titolo, inclusa la variazione accertata dall’ISTAT dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi nell’anno precedente. L’opzione non ha effetto se di essa il locatore non ha dato preventiva comunicazione al conduttore con lettera raccomandata, con la quale rinuncia ad esercitare la facoltà di chiedere l’aggiornamento del canone a qualsiasi titolo. Le disposizioni di cui al presente comma sono inderogabili.”
Quindi, il canone pattuito inizialmente non può in alcun modo essere adeguato in corso di contratto e qualunque diversa pattuizione risulta illegittima.
Il caso esaminato nella richiesta di interpello in commento riguarda la locazione di un fabbricato di categoria C/1 e con superficie inferiore a 600 metri quadrati, che viene locato nel corso del 2019; la particolarità del contratto risiede nel fatto che la locazione commerciale, di durata anni 6+6, prevede un canone costituito da due componenti, una quota fissa annuale a cui aggiungere una quota variabile (nella fattispecie, pari al 3,4% dei ricavi del punto vendita della società conduttrice, per la sola parte dei ricavi che in ciascun anno supererà euro 1.000.000).
Il dubbio che si pone è se tale parte variabile possa in qualche modo qualificarsi come “aggiornamento del canone, anche se prevista nel contratto a qualsiasi titolo, inclusa la variazione accertata dall’ISTAT” ipotesi che come detto è preclusa dalla norma istitutiva.
Sul punto l’Agenzia osserva che vi è una differenza sostanziale tra l’aggiornamento del canone di locazione per eventuali variazioni del potere di acquisto della moneta, di cui all’articolo 32 Legge 392/1978 e la pattuizione di una quota del canone di locazione in forma variabile.
Sul punto, peraltro, viene richiamato anche un precedente giurisprudenziale – la sentenza della Corte di Cassazione n. 5849 del 2015 – nella quale viene attribuita piena libertà alle parti di determinare il canone, senza che questo possa essere confuso con un aggiornamento.
Pertanto, l’Agenzia delle entrate conclude affermando che deve ritenersi che la previsione contrattuale presente nel contratto di locazione che fa dipendere la quota variabile del canone dal fatturato del conduttore, non rientra nel campo di applicazione del citato comma 11 (che vieta l’aggiornamento del canone) e, come tale, non risulta di ostacolo all’assoggettamento del contratto stesso al regime della cedolare secca.