Ciò premesso, ad oggi si sta applicando una normativa che non è compatibile con il diritto comunitario e per la quale c’è pendente una procedura di infrazione.
Ciò premesso, il problema del non corretto recepimento è che l’articolo 4del Decreto Iva, attualmente in vigore, prevede che determinate prestazioni di servizi effettuate da enti associativi, siano escluse dal campo di applicazione dell’Iva, anche nel caso in cui siano chiesti dei corrispettivi specifici per la loro esecuzione.
Se infatti è pacifico che una quota associativa che molte volte non dà diritto ad alcunché resta esclusa da Iva, il Decreto Iva prevede che a particolari condizioni, anche cessioni di beni o prestazioni di servizi per le quali un socio paga un corrispettivo specifico, possano essere escluse da Iva.
Da qui ne consegue che se l’ente non commerciale effettua solo operazioni escluse da Iva, lo stesso non aprirà nemmeno la partita Iva.
La incompatibilità della norma nazionale con quella comunitaria è che le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, rese dall’ente non commerciale dietro corrispettivi specifici nei confronti del propri soci, non possono considerarsi escluse da Iva, ma a certe condizioni gli Stati membri possono considerarle esenti; per alcune di queste prestazioni di servizi, peraltro, gli Stati membri possono prevedere l’applicazione del regime di esenzione solo se non provocano distorsioni della concorrenza a danno delle imprese commerciali soggette ad Iva.
Facciamo un esempio: oggi il bar di una associazione di promozione sociale che cede il bicchiere di vino ai soci dietro corrispettivo specifico, non fa nulla, in quanto effettua una operazione esclusa da Iva.
Secondo la disciplina comunitaria, invece, tale operazione potrebbe essere esente solo se non crea distorsioni della concorrenza con i bar che il bicchiere di vino devono assoggettarlo ad Iva.
Ipotizzando che tale distorsione della concorrenza non vi sia (ad esempio l’associazione si limita alla mescita delle bevande la domenica dopo la messa, in un Paese dove non esistono bar), cosa può cambiare tra una esclusione Iva ed un’esenzione, visto che comunque lo Stato non incassa nessuna imposta?
Considerato che le operazioni esenti sono quasi sempre esonerate dagli obblighi di certificazione, registrazione e presentazione della dichiarazione Iva, la differenza è solo la richiesta apertura di un numero di partita Iva.
La norma che dovrebbe quindi entrare in vigore a luglio 2024, abrogherà le esclusioni da Iva previste dall’articolo 4, ed introdurrà delle esenzioni nell’articolo 10, obbligando in ogni caso molte associazioni alla richiesta di un numero di partita Iva.
Una cosa che getterà certamente tutto il settore in confusione, è che per la direttiva queste esenzioni possono essere concesse solo se non creano distorsioni della concorrenza.
Ad avviso di chi scrive, dovrebbe essere il legislatore italiano, nel recepimento della norma comunitaria, a definire quali sono i casi che non creano distorsioni di concorrenza (ad esempio basso numero di soci, operazioni fino ad una certa cifra, distanza minima dal più vicino esercizio commerciale, ecc…).
Invece, il legislatore nazionale ricopia la norma che deve recepire, e quindi non si capisce chi deciderà se il regime di esenzione – negli specifici casi – crea o meno distorsione della concorrenza.
Il banco mescita dell’associazione di promozione sociale di un paese senza bar, potrà tranquillamente applicare il regime di esenzione? E quello dell’associazione a 100 metri da un bar? Chi deciderà se vi è o meno distorsione della concorrenza?
Qualora invece la distorsione della concorrenza vi sia, e quindi i corrispettivi non potranno godere del regime di esenzione, verrà previsto che tali enti potranno applicare il regime forfettario.
Insomma, per i ricavi minimi ottenuti da tali enti, non dovrà comunque essere addebitata Iva e gli oneri amministrativi dovrebbero comunque rimanere limitati.
29 Settembre 2023 a 9:35
Buongiorno Sig. Curcu, vorrei sottoporre un’altro esempio. Una palestra commerciale paga attualmente l’iva e tutte le tasse senza nessuna agevolazione. Una palestra SSD o ASD, con lo stesso fatturato oppure in certi casi parecchie volte tanto, nello stesso comune, con lo stesso codice ateco e la stessa identica offerta di servizi, sarà dal 1mo luglio 2024 esente iva (oggi fuori campo iva). Credo sia un caso di palese distorsione dela concorrenza a danno della prima palestra commerciale. Chiedo per cortesia un commento al riguardo. Grazie.